Non ci sono dubbi: quello sotto la Porta è proprio Bartolomeo, tornato a riprendersi quanto gli avevano tolto. Siamo in una situazione tale per cui non si riesce a ragionare lucidamente: quell’uomo tutto impettito è così colmo d’ira che le sue urla spaventano pure i suoi subordinati, per non parlare dei soldati a difesa di Pordenone. Guardandoci attorno, molti sono impietriti dal terrore e, dall’alto delle mura, non sanno né cosa fare, né chi e quali ordini seguire. Il comandante Rizano non è tornato dalla battaglia e si può supporre che sia morto nello scontro, mentre del conte Vido della Torre non si hanno ancora notizie, nemmeno di un suo arrivo.
Ai dubbi d’ansia si sostituisce presto una conferma: nonostante i colpi ripetuti le fortificazioni reggono, il che ci fa ben sperare. Forse, se la resistenza sarà lunga, si riuscirà a vincere questa battaglia; forse i tedeschi riusciranno a parlamentare con Bartolomeo al fine di una possibile evacuazione indolore, senza ulteriore spargimento di sangue e forse vi sarà una grande accoglienza da parte della popolazione riservata ai veneziani per la fine di questa calamità. Per il momento sono solo fantasticherie date da quanto abbiamo sotto gli occhi: le mura tengono, tanto basta.
Passano le ore e se da fuori continuano a sparare, dentro i tedeschi sopravvissuti sono in preparazione in vista di uno scontro che ritengono inevitabile. Forse le nostre fantasie sono troppo tirate dato che tutti si stanno preparando al peggio. D’un tratto, dalla nostra postazione, un grido: “Hanno fatto breccia! Hanno fatto breccia!“. Ci sporgiamo verso il borgo giusto in tempo per vedere un piccolo gruppo di soldati correre verso un piccolo crollo avvenuto alla nostra sinistra. Scendiamo a vedere: il buco non è più grande di un pallone da calcio, ma sufficiente a far perdere le speranze a tutti i presenti. Di questo passo, si dicono tra loro, le mura non reggeranno.
E’ ormai il tramonto. Dopo aver passato una giornata intera ad assistere impotenti al bombardamento continuo delle mura (salvo la risposta di un gruppo di arcieri che aveva tentato di sfoltire le file nemiche senza ottenere grossi risultati) decidiamo di allontanarci per vedere come i pordenonesi stiano reagendo. Nei pressi di dove in mattinata c’era stato il crollo, un gruppo di donne sta aiutando i soldati tedeschi a riparare con quanto possibile le brecce in continua formazione. Dietro di loro, uomini, e pure bambini, si stanno dando un gran daffare per scaricare da dei carri tutto il pesante materiale utile alle riparazioni.
Ci avviciniamo e chiediamo a loro il motivo di tanta fatica, presumendo, come già abbiamo avuto modo di vedere, che ciò sia legato all’amore per la città. Un uomo tarchiato ci risponde che se lasciassero perdere le mura i tedeschi avrebbero perso sicuramente. Di più non dice e velocemente torna al lavoro. E’ un’ovvietà e al momento non riusciamo a capire perché stessero aiutando un padrone piuttosto che l’altro: in fin dei conti Bartolomeo, nonostante le passate minacce, si era dimostrato un uomo amante della cultura e del benessere e aveva contribuito grandemente allo sviluppo di Pordenone.
E’ infatti sua l’idea di fondare un circolo letterario e artistico entro le mura, l’Accademia liviana, di cui ne aveva tratto beneficio il suo grande amico Antonio de Sacchis, senza contare che negli ultimi anni aveva contribuito all’espansione delle attività industriali e commerciali del borgo: l’apertura di alcune botteghe che battevano ferro e rame era stata predisposta da lui, come anche la creazione di una zecca che batteva moneta per conto di Venezia. Per non parlare delle fortificazioni e della sistemazione delle rogge che già sappiamo. Non aveva solo spadroneggiato come un signorotto feudale.
Come detto, al momento non riusciamo a comprendere perché non si volessero i veneziani in città ma con un po’ di logica arriviamo comunque a una motivazione plausibile: se c’è un nuovo dominatore, c’è pure il rischio di perdere le proprie leggi e i propri statuti cittadini, quindi la possibilità di perdere delle libertà che altrimenti erano tranquillamente concesse. I veneziani già controllavano buona parte del Veneto e del Friuli e si diceva che in alcune città avessero del tutto imposto il loro volere, come tiranni spietati. Sono solo dicerie, dato che sappiamo che nel corso della sua storia, Venezia generalmente manterrà sempre gli statuti e le concessioni delle città che aveva in dominio, modificandoli solo se necessario e inserendo nella vita civica solo pochi funzionari di provata fedeltà. E’ questo uno dei segreti della sua durata plurisecolare come stato indipendente.
Forse quindi è questa la motivazione, o paura, dei pordenonesi. Senza perderci d’animo, immediatamente aiutiamo i cittadini a chiudere le brecce: è un lavoro lungo e difficile, con carri di materiale che vanno e vengono e con sempre più abitanti che corrono in aiuto. Nonostante scenda la notte, nessuno sembra avere intenzione di lasciare la sua postazione di lavoro poiché i cannoni continuano a sparare senza sosta. E’ un’estenuante corsa contro il tempo. Riusciremo a resistere fino all’esaurimento delle loro munizioni?
Pordenonese doc, classe 1992. Dottore di ricerca in Scienze storiche tra l’Università di Padova, Ca’Foscari di Venezia e Verona, mi piace pensarmi come spettatore di eventi che in un futuro lontano saranno considerati storia. Far conoscere al meglio e a quanti più possibile il nostro passato, locale e non, è uno dei miei obiettivi e come tale scrivo con passione per le mie amate Radici.