Spostarsi di un mese nel tempo non comporta grandi problemi: si tratta in fin dei conti di 30 giorni, in cui probabilmente, data l’epoca di transizione, sarà successo poco o niente. Siamo quindi giunti al 29 marzo 1514. La città è avvolta dalle tenebre ma già comincia ad albeggiare: fuorché qualche rara candela accesa, la cui luce soffusa è ben visibile dalla strada, l’oscurità regna sovrana anche se con i minuti contati. Sono le 6:35, mancano circa 10 minuti al sorgere del sole. Guardando il cielo sembra che questa sarà una piacevole giornata soleggiata di prima primavera.

Diversamente dalle altre volte, ci troviamo nei pressi della Porta della Bòssina. Il passaggio è sbarrato, il che non deve apparirci molto strano. Chiudersi entro le mura era la prassi che qualunque paese adottava in quest’epoca, allo scopo di evitare l’ingresso di ospiti indesiderati. Se aspettiamo l’alba probabilmente assisteremo all’apertura del portone. Nel mentre, giusto per passare il tempo, sfogliamo la nostra guida: avevamo visto prima di partire che oggi sarebbe accaduto qualcosa di interessante, tuttavia la parte che spiegava di cosa si sarebbe trattato stranamente non c’è: la guida ha un errore di stampa e presenta un salto di due pagine. Fa nulla: entro sera vedremo lo stesso cosa accadrà.

Nel riporre la guida, ora che c’è un po’ più di luce, notiamo che c’è qualcosa di appeso ai lati del portone: due vessilli con su recanti disegnato un’aquila nera a due teste su sfondo giallo. In un mese effettivamente qualcosa era allora successo: i tedeschi del Sacro Romano Impero erano tornati a Pordenone. A quanto sembra la città è identica a un mese fa e non sembra aver subìto danni da assedio. Forse i pordenonesi si sono arresi subito senza combattere, forse hanno aperto le porte della città non avendo buona opinione delle ultime manovre di Bartolomeo in tema di tasse, forse le truppe di difesa erano lontane per chissà cosa, o forse il combattimento è avvenuto nel contado…

Inutile arrovellarsi più di tanto: la situazione è critica! Praticamente ci troviamo su una polveriera che sta per esplodere: se la città è presidiata da truppe tedesche non mancherà certamente la reazione di Venezia e in particolare di Bartolomeo. Forse è questo l’evento importante segnato sotto il 29 marzo nella guida e se così fosse ci si troverebbe in una brutta situazione, una delle più critiche dalla nascita della città, ben peggiore dell’incendio del 1318!

Per vedere se effettivamente stanno così le cose, saliamo lungo una scalinata che ci porta sul costone delle mura. Queste sono alte circa sei metri, per cui non ci impieghiamo molto ad arrivare in cima. Qui alcuni soldati, armati di tutto punto, sono fissi immobili a scrutare l’orizzonte. Sono le 6:47 e ormai, nell’aurora del mattino, si riesce a vedere ben chiaramente il contado. A circa mezzo chilometro, su per giù nei dintorni dove sorgerà l’attuale campanile di San Giorgio, al di fuori della portata degli archi, un nutrito schieramento di uomini in attesa è schierato in linea orizzontale.

Non sono contadini, ma veri e propri soldati. Lo capiamo dal fatto che alla loro testa c’è un giovane personaggio a noi non del tutto sconosciuto: Malatesta IV Baglioni, nipote di Bartolomeo. Costui è figlio di Giampaolo Baglioni, signore di Perugia nonché fratello di Pantasilea, moglie di Bartolomeo, e succederà al padre alla guida della sua città tra circa 14 anni. Al momento è un giovane condottiero che affianca il genitore e lo zio nelle imprese al soldo della Repubblica di Venezia.

Vicino a noi, un capitano ordina a un gruppo di tre esploratori sotto le mura di andare a controllare chi fossero: la distanza e la lieve foschia mattutina impediscono un buon riconoscimento, pertanto è necessario avere un responso definitivo: sono le avanguardie veneziane o semplici truppe di ventura potenzialmente corruttibili? Detto fatto: in pochi istanti il trio di esploratori è fuori le mura. Nel mentre, curiosi di sapere chi fosse costui, ci avviciniamo al capitano per chiedergli di ragguagliarci sulla situazione. Si presenta a noi con molta agitazione e freddezza (e come dargli torto!?): il comandante, Rizano da Fiume del Carnaro, al servizio dell’Impero, ci racconta che al momento del suo arrivo la città gli aveva spalancato le porte, facendolo entrare senza problemi.

A detta dei suoi soldati, che avevano frequentato le taverne dentro e fuori il borgo nei giorni successivi, l’apertura delle porte era stata ordinata direttamente da Bartolomeo, il quale, lontano da Pordenone e conscio dell’invasione tedesca, aveva avvisato i pordenonesi che, se Valvasone e Spilimbergo si fossero arrese, si sarebbero dovuti arrendere anche loro e che a risolvere la situazione ci avrebbe pensato lui stesso. La cosa aveva preoccupato non poco il capitano e lo si percepisce chiaramente dal tono della sua voce: entrato a Pordenone, teme di essere caduto in trappola.

In breve gli esploratori ritornano: quei soldati sono veneziani. Ormai non ci sono più dubbi, Bartolomeo è vicino, molto vicino. Piuttosto che stare ad aspettare che le mura crollino, Rizano prende una drastica decisione: forte di 700 uomini e dell’appoggio del conte Vido della Torre, suo pari al comando, decide di andare lui incontro al nemico. Restare asserragliati può portare a una lunga resistenza, in questo caso non conveniente data le dimensioni di Pordenone: si morirebbe prima di fame che di spada. Preso l’elmo e dato ordine di aprire le porte, Rizano scende dalle mura e sale in sella al suo cavallo.

Sono quasi le 7:00, il sole ormai è sorto, e gli uomini a presidio della città escono in massa. Con noi restano solo poche guardie. Il tremore dello scalpitare dei cavalli, il suono delle spade che rimbalzano sulle corazze dei soldati e l’ordine con cui escono dalla Porta ricorda molto le migliori scene d’azione dei film fantastici o ambientati nel Medioevo. Solo che questa è la realtà. Dalle mura possiamo assistere allo scontro tramite un cannocchiale: in carica, i cavalleggeri e i fanti di Rizano, con a capo il loro comandante, si stanno per scontrare con le truppe nemiche.

E’ incredibile a vedersi, ma i 700 tedeschi, ben organizzati come sono, sembra stiano suscitando non poca paura ai veneziani: Malatesta, senza nemmeno provarci, si sta ritirando! Il morale della guarnigione è alle stelle. Incalzato, sembra che Rizano pensi di aver gioco facile: i veneziani sono soli, spaventati e vulnerabili, quale miglior occasione per mandare un chiaro messaggio a Bartolomeo? Qualcosa però non va: la coda delle truppe tedesche sembra essere impegnata ai lati. Immediatamente, dai boschi circostanti esce un’altra armata, ben più consistente e numerosa di quella di Malatesta: è il grosso dell’esercito, al cui comando c’è un provveditore (comandante locale veneziano) il cui nome riusciamo a malapena intenderlo dalle confuse voci sul campo: sentiamo distintamente solo “Vettori”.

E’ un’autentica imboscata! Rizano è colto alla sprovvista e non sta riuscendo a riorganizzarsi per tempo: le prorompenti forze veneziane sovrastano i tedeschi di una proporzione 3:1. Di colpo la vittoria sembra più lontana, se non irraggiungibile: dal polverone sollevato, cominciamo a scorgere i primi soldati, anche feriti, tornare all’interno delle mura, seguiti ben presto da tutti quelli che erano riusciti a sfuggire a morte certa. La ritirata è molto lenta e quando anche l’ultimo sembra essere rientrato, le guardie in fretta e furia chiudono e sbarrano i portoni. Dall’alto della nostra posizione, tra i tedeschi rientrati, non vediamo Rizano: al momento ne ignoriamo il destino.

Di colpo sentiamo un forte boato seguito da un altrettanto forte tremore lungo le mura, al punto che rimanere in piedi risulta difficile. CI sporgiamo lungo la murata: sei cannoni, portati in brevissimo tempo sotto le fortificazioni, hanno appena cominciato a sparare contro le difese e contro la Porta. Tra le nuvole di terra che ormai stavano diradandosi, scorgiamo avanzare a passo trionfale colui che tutti temevano arrivasse: Bartolomeo d’Alviano.

Sono appena le 7:40.

 

Lascia un commento