Viaggiare in Europa permette di scoprire quanto variegato sia questo nostro magnifico continente, in cui popoli diversi condividono molti più aspetti di quanti vene ne siano che li distanziano. Tale varietà comporta anche una diversità di racconti e di storia variabile da contesto a contesto, tale per cui ogni popolo ha la sua. Ogni storia però è inevitabilmente connessa con le altre, fino a formare un fitto intreccio che visto nella sua globalità può essere sintetizzato come la storia d’Europa. Questo intreccio è formato da spesse fibre corrispondenti alle storie nazionali, a loro volta composte da fibre più piccole e via via più sottili di microstoria locale che, per quanto incanalate in un unico fascio, possono anche uscirvi e, collegandosi tra loro, contribuire a formarne dei nuovi.
Ciò è osservabile negli indizi che si possono rinvenire non solo nei pressi di dove abitiamo ma anche molto più lontano da casa nostra. Ad esempio: sapevate che c’è un pezzetto della città di Pordenone a Praga?
Per come l’ho posta, il senso di questa domanda sfugge: cosa vuol dire “un pezzetto”? Si tratta di un manufatto pordenonese custodito in qualche museo della Capitale ceca? O più semplicemente di un’opera di Antonio De Sacchis, come ce ne sono tante in giro? La risposta è: nessuna delle due. Quindi?
Praga è stata per lungo tempo prima capitale del Regno di Boemia, dunque del Sacro Romano Impero, della Cecoslovacchia e infine dell’attuale Repubblica Ceca. Ben nota è la famosa “defenestrazione”, di cui si ricordano quattro episodi avvenuti in quattro momenti distinti della sua storia, la più importante delle quali, motivata da questioni religiose, diede inizio alla guerra dei Trent’anni.
È altresì una città urbanisticamente amalgamata, con antichi palazzi barocchi e gotici che si intervallano e si affiancano alle nuove costruzioni vivacemente colorate dell’epoca asburgica e alle più moderne costruzioni contemporanee. Tra tutte spiccano imponenti tra i tetti e sullo sfondo delle piazze il Castello e la Cattedrale di San Vito, dominanti il centro storico. Il Castello di Praga era un luogo che rappresentava lo stato ducale, reale e imperiale. Esso fu la sede ufficiale dei re di Boemia, per lungo tempo degli imperatori del Sacro Romano Impero, dunque dei presidenti della Cecoslovacchia e della attuale Cechia. Questo luogo inoltre rappresentava i vescovi e gli arcivescovi di Praga, con la Cattedrale posta nelle immediate vicinanze. Il piccolo nucleo in cima alla collina quindi simboleggia da sempre lo stato con il suo potere regale e ecclesiastico.
Il turista certamente non può non includerli nel suo tour praghese. Soprattutto la visita alla Cattedrale è un momento fondamentale per avere l’idea dell’importanza storica della città a livello locale ed europeo. Entrati, ci si trova di fronte e ai fianchi di magnifiche vetrate variopinte contenute in uno spazio tipicamente neo-gotico. Tuttavia, ciò che il visitatore attento osserverà è posto sotto il triforio interno dell’alto coro, in cui sono dipinti trentotto stemmi raffiguranti altrettanti stati, città, regioni.
Tra tutte figura uno scudo rosso, diviso in orizzontale da una fascia argentata, sulla quale è rappresentato un cancello dorato aperto. Davanti a questo cancello ci sono tre colline verdi disposte in modo decrescente. A margine dello stemma è presente una scritta: Portus Monus. Un errore di trascrizione della vera dicitura che, associata al simbolo, non lascia alcun dubbio: Portus Naonis, Pordenone.
Praga e Pordenone distano 770 chilometri: oggi si impiegano circa otto ore di macchina per arrivarci, nei tempi più lontani, all’epoca dei carri e dei cavalli, anche più di due settimane. In mezzo centinaia di villaggi, paesi, città, lingue, tradizioni, persone diverse. Com’è possibile quindi che in poco più di una trentina di stemmi, in cui figurano tra l’altro importanti realtà, ci sia proprio quello di Pordenone? E perché proprio qui?
Per svelare il mistero dobbiamo necessariamente ricordare qualche aspetto essenziale della prima storia di Pordenone, nonché del Sacro Romano Impero nel Medioevo. Per semplificare: tra l’XI e il XIII secolo quest’ultimo era una confederazione di stati sovrani nell’Europa centrale e occidentale. Il potere politico era decentralizzato, con l’Imperatore a capo, ma la sua autorità spesso era limitata dalle prerogative dei principi locali (conti, marchesi, duchi, re) e delle città libere. L’imperatore, che fungeva anche da mediatore nelle controversie locali, da principio non apparteneva a una singola dinastia ma veniva eletto dai cosiddetti principi elettori, i più importanti della confederazione. Ne derivava che l’Impero, già influenzato da una complessa mescolanza di istituzioni feudali, leggi tradizionali e dinamiche politiche in evoluzione, si caratterizzasse per costanti tensioni e rivalità interne.
Il territorio pordenonese ne era parte integrante: in origine appartenente ai Signori di Carinzia, dal 1127 era parte della Marca di Stiria. Quest’ultima, divenuta ducato, dal 1192 sarebbe poi stata governata in un’unione di corone dai duchi d’Austria, i Babenberg, tra i più importanti principi elettori dell’Impero. Durante il loro dominio, compare nelle cronache l’abitato con il porto sul Noncello, allora composto da alcune case, senza mura difensive, costantemente intento a difendersi dalle mire del Patriarca di Aquileia.
Altrove, in pieno XIII secolo, la grande storia faceva il suo corso. Nel 1252 il principe Ottocaro, figlio del re di Boemia (regione corrispondente a una buona parte dell’attuale Repubblica ceca) Venceslao I, venne insediato dal padre sul trono d’Austria, vacante dalla scomparsa dell’ultimo duca Babenberg, Federico II, avvenuta cinque anni prima. L’anno dopo, Venceslao morì e Ottocaro divenne anche re di Boemia come Ottocaro II.
Ricordato da Dante nel Purgatorio per essere stato un sovrano migliore di suo padre, egli seppe mantenere il controllo dell’Austria e, in particolare, del dominio collaterale della Stiria, difendendoli dalle mire espansive del re d’Ungheria, suo cugino. Più o meno contemporaneamente, moriva Ulrico III, duca di Carinzia, il quale, estromettendo il fratello Filippo, aveva lasciato il suo ducato in eredità a Ottocaro. Il Re di Boemia risultava pertanto essere duca d’Austria, di Stiria e di Carinzia, quindi, tra le altre terre associate alle corone, Signore di Pordenone. In quanto tale, egli governò direttamente ma da lontano la città, vi insediò una propria guarnigione (all’origine del quartiere di Villanova) e, nel 1273, sebbene non vi siano sufficienti prove documentali, le assegnò un primo stemma, comparendo il nome di Portus Naonis nella raffigurazione del suo sigillo.
Tuttavia Ottocaro non entrò subito in possesso di Pordenone a causa di un contenzioso ereditario con il Patriarca di Aquileia, Filippo di Carinzia, il citato fratello di Ulrico, il quale, già rancoroso verso il re, ne reclamava la proprietà in virtù dell’antico dominio da parte della sua famiglia. Battuto ma non sconfitto da Ottocaro nel 1275, Filippo chiese quindi aiuto all’imperatore Rodolfo d’Asburgo. Anche a quest’ultimo il re di Boemia non stava simpatico: non tanto perché i suoi domini si erano estesi in maniera sproporzionata, quanto perché Ottocaro non gli aveva prestato omaggio al momento della sua elezione a imperatore. Rodolfo intimò pertanto al re di rinunciare ai domini di Austria, Stiria, Carinzia e, tra le altre terre, anche di Pordenone.
Dalla guerra che seguì, culminata in un assedio a Vienna nel 1276, venne stipulato un accordo tra i due che tuttavia venne subito violato dallo stesso Ottocaro. Ucciso in battaglia due anni dopo nel 1278, i suoi domini vennero spartiti dall’Imperatore: se la Boemia andò al figlio di Ottocaro, Venceslao II, l’Austria e le terre ad essa connesse, tra cui Pordenone, andarono ai figli di Rodolfo, Alberto e Rodolfo II, con il primo che sopravvisse al secondo diventando a sua volta imperatore. Iniziava così il lungo periodo della Pordenone degli Asburgo.
Ritorniamo a Praga. Il racconto spiegherebbe così la presenza del simbolo pordenonese nella Cattedrale, il quale non figura come semplice elemento decorativo: la Cattedrale è stata da sempre considerata dai praghesi il principale tempio che sovrasta le altre chiese, diventando il luogo di sepoltura finale dei suoi sovrani e imperatori. Ottocaro II riposa qui. Quest’ultimo apparteneva alla dinastia ceco-boema dei Přemyslidi: in quanto duca d’Austria, di Stiria e Carinzia, egli si era fregiato del titolo di Signore di Pordenone in anticipo e allo stesso modo di come fecero i suoi successori della dinastia degli Asburgo.
Tuttavia, c’è ancora una questione da risolvere: se lo stemma è presente in virtù del Re boemo, perché quello raffigurato non è il suo? E perché esso, nonostante i colori dello sfondo, presentando tre colline anziché le onde del mare, è diverso rispetto a quello attuale?
Torniamo brevemente al nostro racconto. Per i successivi due secoli gli Asburgo avrebbero mantenuto il possesso di Pordenone quali Signori della città. Come sappiamo, il duca Alberto, poi divenuto imperatore, fu colui che concesse nel 1291 alcuni capitoli che avrebbero rappresentato il primo nucleo degli Statuti pordenonesi. Per lo stemma che conosciamo si dovrà aspettare il 1401. Quest’ultimo, originariamente, non compare tra i simboli della città ma nel sigillo dei duchi d’Austria, ossia nel simbolo che li rappresentava.
Come tutte le case principesche, anche gli Asburgo usavano raffigurare in un unico insieme tutti i diversi territori soggetti alla loro dominazione. A una serie di titoli, aumentati di numero nel corso dei secoli, corrispondeva un analogo numero di stemmi, tutti raggruppati in un solo scudo. La prima prova figurativa in assoluto dello stemma di Pordenone compare tra questi nel 1360 e nel 1364, quasi un secolo dopo i fatti di Ottocaro, nel sigillo dell’imperatore Rodolfo IV, bisnipote del Rodolfo che cacciò il Re boemo. Esso si caratterizza per le porte merlate con i battenti aperti e… tre monti.
Nel 1401 i pordenonesi chiesero al duca d’Austria Guglielmo I, fratello di Rodolfo IV, che lo stemma di Pordenone della Casa d’Austria potesse essere usato dalla città per rappresentarsi. Un segno della benevolenza civica verso i duchi che, di riflesso, conferiva agli atti ufficiali del Comune una maggiore autorità derivante dall’uso del sigillo del sovrano. Questo simbolo ne avrebbe modificato uno precedente: allo sfondo azzurro si sostituiva il canonico campo rosso intervallato orizzontalmente da una fascia argentata come sfondo della porta aperta… sulle onde del mare.
Probabilmente i tre monti scompaiono per accentuata vocazione fluviale della città. Il simbolo, tuttavia, continuò ad essere rappresentato nelle due varianti: se a Pordenone si convalidava quello delle onde, per ancora diverso tempo nel sigillo degli duchi esso, quando non era sprovvisto della raffigurazione sottostante le porte, sarebbe rimasto quello dei monti. Il simbolo in questa forma è infatti presente in opere e diverse località connesse agli Asburgo. Come nel Grünenbergs Wappenbuch, il libro degli stemmi ufficiali del Sacro Romano Impero del 1483; o come sulla volta della cattedrale di San Giorgio nel castello di Wiener Neustadt; o sul sepolcro dell’imperatore Federico III (1415-1493) nella Cattedrale di Santo Stefano a Vienna.
Solo dal 1539 nei sigilli prevarrà la raffigurazione con il mare, tuttavia soltanto in quelli della Casa d’Asburgo e non più in quelli imperiali. Questo perché, dal 1508, la Signoria di Pordenone era stata sottratta da Venezia: la città non faceva più parte dei domini del Sacro Romano Impero ma continuava ad essere rivendicata come possedimento personale dagli Asburgo e lo sarebbe stata almeno fino alla metà del Seicento.
Ritorniamo nuovamente a Praga. Oltre a Ottocaro, nella Cattedrale sono sepolti diversi imperatori della Casa d’Austria, come Ferdinando I (1503-1564), Massimiliano II (1527-1576) e Rodolfo II (1552-1612). Praga fu capitale del Sacro Romano Impero dal 1583 al 1611. Gli stemmi della Cattedrale non hanno però una datazione precisa: non essendoci documentazione certa sulle loro origini, dall’analisi dello stile artistico e delle località rappresentate si suppone che essi siano stati realizzati dopo il 1568, anno di morte di Ferdinando I, anche se, data la presenza del simbolo spagnolo della Castiglia, non prima del 1548, anno delle nozze di Massimiliano II con la figlia di Carlo V, Maria di Spagna.
Gli stemmi qui rappresentati sono così collegati a paesi e territori ottenuti per eredità e portati in dote al trono reale. Emerge quindi che questi, più che essere legati a sovrani specifici, rappresentino principalmente la dinastia regnante degli Asburgo, dunque sia il potere degli imperatori che risiedettero a Praga sia il potere dei successivi imperatori austriaci.
Se così fosse, questi sarebbero più una rappresentazione complessiva della storia dell’Austria che non della Cechia, quasi un’imposizione di una storia su un’altra. Tuttavia, proprio il simbolo di Pordenone sembra dare maggiore importanza e ruolo alla storia ceca. Nel 1987 avvenne un importante restauro, il più recente, accompagnato dall’identificazione di ciascun emblema. Data l’erronea dicitura di Portus Monus, frutto di altri restauri precedenti realizzati secoli e decenni prima, quello di Pordenone non era stato identificato, rimanendo sostanzialmente ignoto ai ricercatori. Finché nel 2015 la ricerca per una tesi di laurea dello studente Pavel Šafránek non ha gettato nuova luce. Quest’ultimo, supportato dalla storiografia ceca non ancora tradotta in italiano, ha identificato il simbolo a partire da una relazione sul cambiamento del sigillo da parte di Ottocaro II, il quale il 21 agosto 1270 iniziò a usarne uno nuovo in seguito all’acquisizione della Signoria su Cheb (una località ceca nei Sudeti occidentali a confine con la Germania) e su Pordenone.
Possiamo così dare una risposta completa a tutte le domande poste: il simbolo di Pordenone è sicuramente legato, realizzato con i caratteri, nonché rappresentato e rappresentante della Casa d’Asburgo, ma è presente a Praga in virtù del suo possedimento da parte di un sovrano boemo che qui risiedette e morì. Un sovrano a cui Pordenone deve una parte dell’origine della propria identità.
Il simbolo è forse quello storico più distante dalla sua città finora noto. Una piccola fibra che collega una storia italiana a una ceca in quell’inestricabile groviglio di fibre e fasci che è la storia europea.
Bibliografia essenziale:
– Carlo Morossi, Lo stemma della città di Pordenone, Arti Grafiche Pordenone, Pordenone, 1959.
– Andrea Benedetti, Storia di Pordenone, Edizioni Il Noncello, Pordenone, 1964, p.18; pp.25-38.
– Andrea Benedetti, L’arma di Pordenone su monumenti e sigilli asburgici, «Il Noncello», 32 (1971), pp.9-28.
– Pavel Šafránek, Znaková galerie v chóru pražské katedrály (“Galleria di stemmi nel coro della Cattedrale di Praga”), tesi di laurea triennale, Università Carlo IV di Praga, Facoltà di Teologia cattolica, Istituto di Storia dell’Arte Cristiana, relatore: Jaroslav Sojka, 2015.
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Pordenonese doc, classe 1992. Dottore di ricerca in Scienze storiche tra l’Università di Padova, Ca’Foscari di Venezia e Verona, mi piace pensarmi come spettatore di eventi che in un futuro lontano saranno considerati storia. Far conoscere al meglio e a quanti più possibile il nostro passato, locale e non, è uno dei miei obiettivi e come tale scrivo con passione per le mie amate Radici.