Quando giunsero in Italia, poco dopo la metà del VI secolo, i Longobardi vi trovarono una cultura profondamente diversa dalla loro sotto diversi punti di vista. Quello che ebbe luogo con gli abitanti della penisola fu inizialmente uno scontro che si trasformò poi in integrazione e scambio reciproco. Ancora oggi, a molti di secoli di distanza, possiamo definirci, almeno in parte, Longobardi: storicamente, culturalmente e linguisticamente. Portiamo avanti questa ricca eredità spesso non conoscendo bene la storia e le vicende di questa popolazione che conquistò buona parte dell’Italia partendo proprio dal Friuli, terra di passaggio e che fu sede del loro primo ducato.

 

La storia dei Longobardi in Friuli parte da molto lontano, sia geograficamente che storicamente. Secondo quanto riportato dalle fonti antiche – Paolo Diacono, monaco longobardo e autore della Historia Langobardorum, è uno dei principali riferimenti per la ricostruzione delle vicende di questo popolo anche se la sua narrazione va sempre contestualizzata – e dai ritrovamenti archeologici le origini dei Longobardi sono scandinave. Da quelle terre una parte della gente dei “Winnili” – poi Longobardi – migrò attraversando la Germania e stanziandosi, poco prima dell’arrivo in Italia, in Pannonia, ovvero un’antica regione compresa grosso modo tra le attuali Ungheria, Austria, Croazia e Slovenia. Il primo vero e profondo incontro con la popolazione di cultura romana avvenne intorno alla fine del V secolo; non che prima i Longobardi non fossero conosciuti – vengono nominati da alcuni scrittori romani già intorno al I secolo d.C. – ma fino a quel momento non vi era mai stato un contatto diretto e duraturo. Durante gli anni Cinquanta del VI secolo moltissimi Longobardi combatterono in Italia contro gli Ostrogoti come federati e iniziarono in quel periodo a strutturare il proprio esercito sul modello bizantino; nascevano le cariche di dux e comes. È quindi possibile affermare che già prima del loro ingresso ufficiale in Italia i Longobardi siano stati influenzati dalla cultura romana tardoantica.

 

All’indomani della fine della guerra gotica (553), la Penisola versava in condizioni terribili: le città erano distrutte, la popolazione affamata e anche le campagne avevano subito la devastazione del passaggio degli eserciti.

Il 568 segna quindi l’anno di svolta: dopo la Pasqua Alboino, re dei Longobardi, entrò in Italia “con tutto il suo esercito e con una moltitudine di popolo promiscuo” (Paolo Diacono). Cividale del Friuli fu la prima città di una certa rilevanza a capitolare. Da qui il re si mosse verso ovest e poi verso sud conquistando, anno dopo anno, buona parte dell’Italia. Cividale era importante in quanto posta in un luogo strategico e quindi, nella sua avanzata, Alboino si premurò di garantirsi un’adeguata protezione. Stabilì quindi nella cittadina friulana un presidio militare con a capo Gisulfo, suo nipote e marphais (scudiero), che venne elevato al titolo di dux, ovvero comandante militare. Cividale del Friuli divenne quindi il primo dei ducati longobardi della Penisola italica.

 

I Longobardi non giungevano pacificamente ma arrivarono in Italia con lo scopo preciso di conquistarla con ogni mezzo. In origine, come molte popolazioni barbariche, erano strutturati come una tribù con a capo una guida militare. Essi stessi si riconoscevano come una gens, ovvero un gruppo di persone consapevole di avere un’ascendenza in comune sebbene questo non implichi automaticamente far parte di un gruppo etnicamente omogeneo; sarebbe davvero difficile pensare che un popolo guerriero e tendente a migrazioni frequenti potesse avere questa caratteristica. Sulla figura del re presso questa popolazione si è scritto molto in quanto la definizione di tale carica non è così scontata come potrebbe sembrare. Re si diventava per elezione – e merito in battaglia – e non per diritto di nascita. Agli uomini liberi (arimanni), convocati in assemblea, spettava tale decisione. Al di sotto degli arimanni, nella piramide sociale, si trovavano gli aldii, uomini con limitata libertà ma una relativa autonomia in ambito economico. Ultimi erano poi i servi che non godevano praticamente di nessun diritto. Quando giunsero in Friuli, i Longobardi erano suddivisi in fare ovvero dei raggruppamenti familiari che avevano funzioni militari e garantivano coesione durante gli spostamenti. Ogni fara era guidata da un duca.

 

La ricostruzione dei rapporti tra latini e longobardi è stata effettuata sia grazie alle già citate fonti antiche che ai reperti archeologici, provenienti soprattutto dai corredi funebri. Gioielli, coltellini, armi, fibule, stoviglie o pettini erano frequentemente deposti accanto al defunto. Sembra quasi paradossale, ma questi oggetti, unitamente alla posizione del corpo e ad altri elementi tipici delle sepolture tardoantiche, ci danno numerosi informazioni sul modo di vivere e pensare di queste persone.

 

Inizialmente la situazione per i Romanici non deve essere stata facile: il ceto dirigente rimasto – molti nobili avevano infatti abbandonato l’Italia e si erano rifugiati a Costantinopoli – venne annientato o scacciato e per chi sopravvisse le cessioni, sotto forma di raccolti o di vere e proprie tasse, furono molto pesanti. Ma c’è da sottolineare che  se essi avevano perso il privilegio dell’esazione fiscale, almeno potevano mantenere quello della proprietà.

 

Anche sul piano religioso c’erano notevoli differenze fra popolazione locale e i Longobardi: questi ultimi si erano già convertiti al Cristianesimo quando giunsero in Italia ma nella variante ariana. Inizialmente quindi i rapporti furono molto difficili ma nei due secoli di dominazione che seguirono quella primavera del 568 le cose cambiarono notevolmente. Un esempio piuttosto interessante è l’Editto di Rotari (643). Questa raccolta riguardava inizialmente solo chi possedeva un’origine longobarda ma già neanche mezzo secolo dopo venne esteso a tutti. L’Editto poi, sebbene conservi ancora in maniera marcata la sua impronta guerriera, venne redatto in latino e questo è abbastanza significativo. Non tutti gli storici sono d’accordo circa i tempi e le modalità di integrazione tra le due popolazioni. Alcuni sostengono che una cultura prevalse sull’altra mentre altri sono a favore dell’idea di una “fusione”. Non potremo mai sapere come si considerasse rispetto agli altri suoi concittadini un abitante di Cividale dell’VIII secolo ma l’archeologia ci suggerisce uno scenario ben preciso, caratterizzato da un affascinante melting pot culturale.

 

Per una storia approfondita della dominazione longobarda in Italia si rimanda al testo di J. Jarnut Storia dei Longobardi.

Lascia un commento