L’intellettuale francese Michel Onfray, filosofo contemporaneo dal pensiero eclettico e controverso, ha tentato di rispondere alla curiosità di molti in merito a quale fosse la dieta quotidiana preferita dai pensatori più conosciuti della storia. Il suo testo, “I filosofi in cucina”, si sviluppa a partire da un concetto molto semplice, ovvero che l’approccio alla filosofia debba essere totale.

“Credo alla vita filosofica. – scrive l’autore – In altri termini, non credo a esercizi di filosofia separati dalla vita o parzialmente inclusi in essa, perché ogni minuto della vita può essere vissuto filosoficamente. Perciò la tavola, come pure il letto, costituiscono un luogo altrettanto filosofico quanto la scrivania o la biblioteca.”

La tavola diventa così espressione del pensiero, paradigma dell’etica personale. Proprio in questo senso si fa interessante osservare le abitudini alimentari dei grandi filosofi della storia, specchio sincero delle loro anime.

Il cinico Diogene ci appare allora come un crudista ante litteram. La regola aurea della sua dieta consisteva nell’evitare il più possibile la cottura del cibo. Il crudo infatti rappresentava per lui la decostruzione del sistema di valori su cui si basava la società. Per questo motivo il filosofo greco rigettava il fuoco come simbolo del progresso della civiltà, preferendo una dieta minimalista che gli consentisse di tornare ad uno stato selvaggio, animale, considerato più puro di quello civile.
Kant poi era rigoroso anche a tavola. Per il filosofo prussiano l’eccesso di cibo e di alcolici erano vizi che abbruttivano lo spirito. La dieta kantiana presupponeva un uso limitato di liquidi come zuppe e acqua, preferendo al contrario bevande più eccitanti come il vino. Di lui si dice andasse matto per il baccalà, e che avesse una grande passione per la senape, con la quale era solito condire diversi piatti.
Se invece Nietzsche adorava le carni stracotte e la pastasciutta, Platone preferiva fichi secchi e olive. Se Spinoza amava piatti sobri e delicati come la zuppa di latte con semolino e uvette, pare che Freud si cibasse ogni giorno di carne bollita, alla quale aggiungeva una salsa sempre diversa.

La bocca è veicolo del logos per antonomasia, strumento con il quale l’uomo si affranca dalla bestialità, anche attraverso il cibo. Come scriveva Hegel nell’ “Enciclopedia”:

“Nella bocca si confondono la parola e i baci, da un lato, e dall’altro il mangiare, il bere e lo sputare”.

L’arte della cucina e quella del pensiero si incontrano così in punta di lingua, sulle labbra. La bocca è il punto di contatto tra dentro e fuori, orifizio attraverso il quale i pensieri si fanno spazio per uscire allo scoperto, incontrare il mondo e farsi voce. Allo stesso tempo però è transito della materia e dei corpi, che masticati e ingurgitati entrano nell’uomo e si fanno spirito. La bocca è  in summa il primo fondamentale punto di passaggio tra l’Io e il mondo.

Tuttavia è sempre dietro l’angolo il pericolo che possa divenire strumento attraverso cui celebrare i vizi del piacere, tanto della parola quanto del cibo. La bocca rischia così di diventare teatro di colpa e peccato.
È per questo motivo che i filosofi devono essere sì assetati, ma di conoscenza, affamati certo, ma di ragionamenti, ingordi senz’altro, ma di sapere.

Così dovrebbero essere i filosofi, sempre a dieta.

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