Il Capodanno per noi non è altro che una data, una scadenza, il momento in cui si cambia il calendario alla parete e si volta letteralmente pagina, auspicando un migliore anno a venire, ricco di fortuna e positività. Un desiderio che dura il tempo di un attimo, quando si stappa lo spumante a mezzanotte.
Poi si torna alla vita di tutti i giorni, in cui l’impegno principale, oltre alla consueta e improvvisata dieta post-natalizia, è l’abituarsi a scrivere correttamente la data indicativa dell’anno nuovo.

Tutto qui. Più un cenone o un pranzo, spesso sfarzoso, a seconda delle abitudini. Gomiti che si alzano, bottoni delle camicie che stringono e una generale sensazione di malessere, per i bagordi che inevitabilmente accompagnano questa festa. A guadagnarci sono così i ristoratori, che vedono riempirsi i loro ristoranti di chi vede nella vigilia dell’anno nuovo nient’altro che un’occasione per stare in allegria con gli amici e la famiglia.

La realtà è che la tradizione del Capodanno ha assunto una certa rilevanza soltanto negli ultimi decenni, e rimane niente più che un’occasione di convivio quasi del tutto slegata da qualsivoglia rituale.

Nella società preindustriale, infatti, esistevano date ben più importanti nel corso dell’anno, che segnavano realmente la vita delle persone. Basti pensare al 29 giugno (ss. Pietro e Paolo), data in cui il colono subentrante prendeva in consegna la stalla e il foraggio, oppure all’11 novembre (s. Martino), quando il colono uscente doveva disperatamente buttare figli, stracci e pidocchi su un carretto e cercare un’altra casa. Per non parlare ovviamente del giorno dei morti, l’Annunciazione, il Natale e tutte le feste religiose, certamente più sentite dai contadini della prima metà del secolo.

La “fortuna” del Capodanno è stata quindi quella di trovarsi a ridosso del solstizio d’inverno , e di collocarsi esattamente a metà fra il Natale e l’Epifania. Si trova infatti al centro di quel periodo dell’anno che gli studiosi del folklore chiamano “ciclo dei dodici giorni”. Delle giornate eccezionali, perché in quel tempo si accentua quel “ritorno dei morti” che in tutta la cultura popolare europea caratterizza l’inverno, a partire dal “capodanno d’inverno”, ovvero il primo di novembre.

Accadde così che anche il primo giorno dell’anno nuovo si sia trovata l’occasione per coccolarsi con qualche vizio in più del solito.

Per la tradizione, il primo è rigorosamente una minestra di ottimo brodo, completata dal riso nella maggioranza dei casi, alimento particolarmente indicato a dare maggior sostanza ad un piatto semplice, economico e facile da preparare, l’ideale per una cucina povera.
Per la preparazione del brodo un ruolo dominante competeva ai volatili, un tempo quelli del piccolo allevamento domestico:  l’anatra, il tacchino, la gallina, il cappone, il gallo, che fornivano non solo il brodo e i fegatini per il migliore dei risotti, ma soprattutto il secondo di lesso, accompagnato dal cren, la brovada, e le verze. Il cotechino locale, il muset, normale o con dentro una listarella di lengua del maiale ben accompagna il pollame lesso, con contorno di lenticchie di produzione propria, simbolo augurale di buon auspicio per l’anno nuovo, per la loro forma caratteristica che ricorda delle piccole monete.
A concludere il pranzo  la frutta secca di casa (soprattutto noci e nocciole), la frutta sciroppata o sotto grappa di produzione domestica, e quella fresca che s’è riusciti gelosamente a far durare come portafortuna (nespole, mele, pere, ma soprattutto uva).
A sostituire l’attuale panettone, comparso dopo la seconda guerra mondiale, più precisamente nel decennio del boom economico, ci pensavano infine i dolci di casa, come la pinza, il più tipico dolce epifanico delle terre tra il Livenza e Tagliamento, e altri dolci di casa come il pan co la thuca.

Oggi, invece, il Capodanno è diventato una frenetica ricerca della serata da ricordare, del più bello dei viaggi, di esperienze uniche. Molte volte così, fra indecisi e in accontentabili, ci troviamo in difficoltà nel trovare il modo migliore in cui dare il benvenuto all’anno nuovo.

Una cosa però è sicura: una volta, di certo, non c’erano questi problemi.

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