Anni ’50: la neonata Repubblica Italiana vuole dimenticare e ricostruire subito. Non ha importanza come, né tanto meno che cosa ricostruire. L’importante è farlo adesso e in fretta: il Piano Marshall ha i tempi contati e in quest’epoca si sente l’esigenza di dimostrare, dopo la batosta della seconda guerra mondiale, di che pasta sono fatti gli italiani.

L’italiano medio, influenzato dalla nuova supremazia culturale post-bellica, si appropria di tradizioni e di culture non sue e si ritrova con l’esigenza di imitare, di appropriarsi di vizi e virtù della nuova sfera dominante: l’America.

Se per l’italiano medio l’America era diventata avere un frigorifero, una cinquecento e la possibilità di andare al mare ad Agosto, per l’intellettuale di quest’epoca è ostico adeguarsi alle nuove regole della nuova cultura al potere.

Leggiamo così Diario degli Errori di Ennio Flaiano (1910-1972), edito postumo nel 1976, questa difficoltà dell’intellettuale nel comprendere e accettare il cambiamento culturale e sociale nell’epoca del boom economico. Scopriamo un autore che disprezza la politica e gli intellettuali che collaborano con essa. Non canta le gesta né del popolo né del politico di turno: rimane distaccato, convinto che tutto sommato il governante rappresenta il suo elettore in tutto e per tutto.

Condanna la neonata società dei consumi, dei mezzi di comunicazione di massa, della pubblicità, della disperata ricerca di scandali nell’informazione, dell’ipocrisia della politica e delle rivolte studentesche. È reazionario ma progressista, anarchico ma liberale, sognatore ma disilluso, laico ma tradizionalista, tragico ma umorista, in altre parole: “Con i piedi fortemente poggiati sulle nuvole”.

Sul finire degli anni sessanta annota: “Fra 30 anni l’Italia non sarà come l’avranno fatta i governi, ma come l’avrà fatta la televisione”. Per uno che è nato e vissuto con la televisione sempre accesa, con l’indignazione strisciante e urlante, con l’ansia della notizia, con l’uccisione mediatica di giornalisti o artisti considerati scomodi, con la ripetitività e la bassezza dei toni degli attori comici, dei presentatori, dei politici; con la prevedibilità nelle storie dei libri e dei film questo appunto può sembrare vero, se non profetico.

Insomma, aveva visto lontano.

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