Con la tradizionale grigliata di Pasquetta ci siamo appena lasciati alle spalle i bagordi pasquali, e con loro i parenti, l’agnello, i brindisi, le uova, le coste e i digestivi vari. Tornare a scuola o al lavoro non è mai semplice dopo qualche giorno di vacanza, tanto meno con quel chilo in più che la bilancia ci rinfaccia severamente. La pancia di troppo non è però l’unica cosa che ci portiamo dietro dopo la Pasqua.

In ogni angolo della casa si trovano le colombe, i dolci tradizionali che nonni e zii, assieme ad altrettante uova di cioccolato, hanno pensato bene di portare come presente al pranzo di domenica.

Non che dispiaccia, sia chiaro. La colomba pasquale è infatti uno dei dolci più gustosi  della pasticceria tradizionale italiana, che trova origine in tempi antichissimi.
La leggenda narra che il re longobardo Alboino, dopo aver conquistato la città di Pavia, chiese ai nobili della città di portargli in dono, per il giorno di Pasqua, dell’oro, delle pietre preziose e dodici ragazze di sedici anni. Assieme a questi arrivò il dono del vecchio cuoco di corte, che per l’occasione creò un dolce soffice, leggero e profumato, che ricordava i decori del duomo di Pavia grazie alla sua forma a colomba. Il re se ne innamorò già al primo morso, auspicando maggior rispetto per le colombe, a partire da quel giorno. Poco dopo iniziarono a sfilare davanti a lui le giovani portate in dono:  “Come ti chiami?” chiese il re, “Colomba” rispose la prima ragazza, “E tu?”, “Colomba” rispose la seconda. Così, per non rimangiarsi la parola data, le ragazze vennero liberate. La colomba divenne da quel giorno simbolo di pace e libertà.

Quasi 1500 anni dopo la colomba viene ancora servita nelle tavole degli italiani, nonostante piaccia molto meno del panettone. Le vendite sono infatti del 60% in meno, complice forse per il vecchio detto “Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi”. In effetti le persone a Pasqua si sentono molto meno in dovere di stare in famiglia e celebrare così la festa, ed è un peccato, perché con una colomba preparata alla perfezione si raggiungono vette di gusto che pochi altri dolci possono regalare.

Iginio Massari, uno dei pasticceri italiani più famosi al mondo, che in pratica sta alla pasticceria come Gualtiero Marchesi sta alla cucina, descrive così la colomba perfetta:

“Direi soffice, ma non eccessivamente leggera, o gli aromi si disperdono nel volume. La dolcezza poi deve essere percepibile, ma non violenta, e il sapore dolce e quello salato devono restare in perfetto equilibrio. Guai se è troppo asciutta, altrimenti non basterà la masticazione e serviranno dei liquidi per deglutirla. Si devono sentire, nell’ordine, le scorze di arancia candita, i baccelli di  vaniglia e il puro burro di prima scelta. Questi aromi devono essere percepiti gradualmente, in questo preciso ordine, uno dopo l’altro, separatamente, non devono creare un quarto gusto”.

Alla colomba perfetta poi non possono mancare le mandorle, che tutti noi amiamo staccare dalla glassa per mangiarne in quantità.C’è una piccola regola da seguire a questo proposito: il pasticciere deve contare almeno una mandorla a persona, quindi una colomba deve avere minimo dieci mandorle distribuite sulla copertura.

E i canditi? A tale questione, che negli anni ha scaturito non poche liti familiari, Massari risponde così:

“Chiedere una colomba senza canditi è come chiedere una torta di nozze al cioccolato. Se non ha i canditi non è una colomba. Perché anche qui c’è una simbologia da conoscere. La torta per il matrimonio è bianca, simbolo di purezza, ed è ricoperta da pasta di mandorle, perché la vita di coppia è come un nido in cui ci si sente protetti. Non è mai piana, ma sempre a più piani, perché il matrimonio è solo l’inizio di un percorso, fatto di gradini e di difficoltà, da superare per arrivare in alto. Difficoltà da affrontare però sempre insieme, mano nella mano: ecco perché la prima fetta viene tagliata a due mani dagli sposi.
Così come la torta di nozze racconta al mondo che la felicità è una conquista, così la colomba è simbolo di una nuova vita che inizia in concordia e armonia. Sono questi significati profondi del cibo che danno tutto un altro gusto a ciò che mangiamo”.

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