Tra il 168 e il 170 d.C. l’intrecciarsi di vicende apparentemente distanti tra loro farà dipendere il destino dell’Impero Romano da un unico municipium: Aquileia. Sono anni difficili per Roma, per questo due imperatori si affiancano nel governo: Marco Aurelio e il fratello Lucio Vero lottano per impedire il dilagare di popolazioni barbare entro i confini. I Goti, migrando verso Ovest dalle steppe dell’Asia centrale, hanno provocato un pericoloso effetto domino: le popolazioni germaniche e sarmatiche, minacciate da Est, si spingono verso il limes dell’Impero. Sarmati e Iazigi minacciano il confine danubiano. Per la prima volta una straordinaria coalizione germanica si raccoglie lungo il confine pannonico: Marcomanni, Quadi, Hermunduri, Vandali, Longobardi, Naristi, Osii. A guidarla è Ballomar, re dei Marcomanni. Da pochi anni si è conclusa la guerra che ha impegnato Lucio Vero in Oriente, contro il Regno dei Parti. Proprio a questa campagna militare si lega un evento che sconvolgerà le sorti dell’Impero: nel 164 d.C. a Seleucia al Tigri scoppia una terribile pestilenza, forse dovuta ad un protoceppo del vaiolo.
A distanza di quattro anni, l’epidemia ha già raggiunto il confine settentrionale, decimando le legioni. Marco Aurelio e Lucio Vero si recano a Carnuntum, sede del governatore della Pannonia Superior e principale avamposto romano sull’alto Danubio. Marco Aurelio teme l’ammassarsi di popolazioni germaniche lungo il limes. Eppure soltanto pochi mesi prima si era sancito un rassicurante accordo con Bellomar: la minaccia sembrava debellata. Almeno agli occhi di Lucio, che convince il fratello a svernare ad Aquileia. Ma la peste ha già colpito la città: in autunno si registrano i primi casi, il prefetto del pretorio è la prima vittima illustre. I due Agusti pianificano immediatemente il ritorno a Roma. Ma nel gennaio del 169 d.C. un ictus colpisce Lucio Vero mentre si trova nei pressi di Altino. La situazione precipita. Spinti dalla pressione dei Goti, i Costoboci sfondano il limes danubiano in Dacia, saccheggiano la Mesia, e raggiungono Macedonia e Grecia, fino a devastare il santuario di Eleusi. Marco Aurelio invia il grosso delle forze romane in Acaia, ma ben presto una nuova minaccia sopraggiunge, assai più grave, cogliendo l’Italia indifesa. Seguendo la Via dell’ambra, la coalizione guidata da Ballomar si fa strada nel Norico e in Pannonia, sfonda le difese romane a Carnuntum e raggiunge Emona. Un’unica via collega quest’ultima all’Italia settentrionale: la Via Gemina, che attraversa le Alpi Carniche e approda ad Aquileia.
Erano passati tre secoli dall’ultima invasione barbarica nel suolo italico: nel 113 a.C. Cimbri e Teutoni avevano terrorizzato Roma muovendo dalla penisola dello Jutland ed erano stati sconfitti solo dieci anni dopo, prima in Provenza e poi nei pressi di Vercelli, merito del genio militare di Gaio Mario. In quell’occasione i cittadini romani avevano fatto ricorso ai più antichi riti d’origine etrusca, comprendenti forse anche il sacrificio umano. Tale era la paura della disfatta. Nel 170 d.C. la storia si ripete: Opitergium, l’odierna Oderzo, è devastata. Soltanto Aquileia si oppone: resiste all’assedio e frena l’avanzata dei Germani di Ballomar. A differenza di Opitergium, Aquileia può contare su antiche fortificazioni in laterizio risalenti al II secolo a.C., all’epoca cioè degli scontri con gli Histri, cui già abbiamo accennato. Marco Aurelio affida al suo miglior legato le operazioni nell’alto Adriatico: è Publio Elvio Pertinace, futuro imperatore. A lui probabilmente si deve la vittoria romana, proprio nei pressi di Aquileia. L’invasione si arresta, ma non è per questo conclusa. L’imperatore sviluppa uno straordinario distretto militare attorno ad Aquileia, la Praetentura Italiae et Alpium. Il fine è chiaro: difendere i passi montani delle Alpi Giulie. Nel frattempo viene rafforzato il confine pannonico. I Germani sono tratti in trappola: il baluardo di Aquileia impedisce loro l’avanzata, le legioni di Carnuntum avrebbero bloccato ogni tentativo di ritirata. Nel 174 d.C. si trattò la pace.
Nato a Chioggia il 23 dicembre 1996. Veneto di nascita, con radici istriane, udinese d’adozione. Studia Storia presso la Scuola Superiore dell’Università degli Studi di Udine. Acerrimo nemico dell’indifferenza e terribilmente curioso, assetato di conoscenza, inguaribile ottimista. Alla continua ricerca di qualcosa di cui meravigliarsi. Ama i dipinti di Monet e le poesie di Mario Luzi. Scrive per esplorare, perché non sa farne a meno.