Un giovane stregone che, si dice, mangi i cuori delle ragazze e rubi loro l’anima. Una giovane cappellaia che si ritrova novantenne nel giro di una maledizione. Un castello semovente, con un’unica porta che unisce quattro località diverse e un demone come combustibile.

Stiamo parlando del Castello errante di Howl, scritto da Diana Wynne Jones nel 1986. Lo stesso che Hayao Miyazaki dello Studio Ghibli ha adattato a pellicola cinematografica diciotto anni dopo.
Il fascino di questa storia bizzarra sta nel castello, che si muove come un insetto gigantesco un po’ scontroso, e nelle pecche caratteriali dei personaggi: non si sopportano, sospettano il peggio l’uno dell’altro, pretendono di intuire le intenzioni altrui facendo cilecca nove volte su dieci… Ficcano il naso dove non devono, si accettano per sfinimento. Quello che succede continuamente nella realtà, dunque. Ma qua non parliamo di realtà, parliamo di un mondo arricchito con della magia, dove i guai si centuplicano.

Se c’è qualcuno in particolare che non ha chiaro quel che succede, ma che non si perde affatto d’animo, quella è la protagonista: Sophie Hatter. Seguiamo la storia dal suo punto di vista, in terza persona, fin da quando si rassegna a un’esistenza disastrata e infruttuosa, essendo la prima di tre figlie. Se le sue due sorelle hanno la fortuna di trovare apprendistato rispettivamente da una prestigiosa strega con una casa piena di fiori e nella pasticceria più famosa della città, da Sophie ci si aspetta che continui a lavorare nel negozio di famiglia, decorando cappelli in solitudine e finendo per parlarci.
Ovviamente arriverà qualcuno ad animare le sue vicende e quello è nient’altri che lo stregone la cui pessima fama lo precede. Lo stregone che non riesce a vedere oltre il suo naso, se non per cercare tra i suoi preziosi flaconi quello con la giusta tintura di capelli. Howl è vano, viziato e infantile; tutto il contrario della cappellaia, risoluta e abituata a trattenersi. Lui invece è il tipo di persona che si accorge dopo parecchi mesi che qualcuno vive nella sua stessa casa, che non si cura della nube di polvere e fuliggine che aleggia nella sua dimora.

Che ve lo dico a fare, Sophie e Howl sono destinati a scontrarsi provocando scintille. Tra di loro però si insinuano trame che dovranno sfilare per capire con chi hanno davvero a che fare: un contratto stipulato con un demone di fuoco, il guscio delle rispettive personalità e, soprattutto, l’apparenza, nella sua forma più basilare, ovvero l’aspetto. Sophie ha addosso una maledizione di cui non le è permesso parlare: è una ragazza che si ritrova costretta nel corpo di una vecchietta, dolorante seppur arzilla, che tuttavia saprà usare a suo vantaggio, permettendosi frecciatine e recriminazioni che da giovane non avrebbe osato pronunciare. Osservarla in questa veste è un piacere per noi, un po’ meno per il petulante seppur affascinante Howl.

Riusciranno i due a vedere oltre, che da sempre è la più difficile di ogni impresa? Vedere oltre implica, prima di tutto, spogliare se stessi dagli spessi, scuri e attaccaticci veli dell’erroneo e facile giudizio, torcerli e strapparli, col rischio di far vanir via un po’ di pelle.

Ci sono parecchie differenze tra il libro e il film d’animazione di Miyazaki, i toni del film essendo più cupi con una guerra che si profila sullo sfondo delle vicende narrate, per poi coinvolgere in primo piano i protagonisti, ma la meraviglia è che entrambi i modi di raccontare questa storia riescono alla perfezione. Il cuore del racconto si conserva e arde a lungo, con uguale splendore. Certo, il film visivamente ha una resa d’impatto con gli splendidi disegni e animazioni dello studio Ghibli; il libro dal canto suo ha quella magia che contraddistingue le lettere stampate, che permette di avere una lente puntata sulla mente dei protagonisti.
Lasciatevi rubare il cuore anche voi.

“Sono delirante. Vedo punti neri davanti agli occhi.”
“Quelli sono ragni.”

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