Il X secolo rappresenta per il Friuli un’epoca oscura e turbolenta, segnata da devastazioni profonde ma anche da una lenta e coraggiosa rinascita. La regione fu  testimone delle grandi trasformazioni politiche che investirono l’Europa dopo la morte di Ludovico il Pio (840). Il trattato di Verdun (843) segnò la spartizione dell’Impero Carolingio tra i suoi figli, definendo i primi confini tra Francia, Italia e Germania. In questo contesto, il Friuli passò sotto l’influenza tedesca: dapprima incluso nel ducato di Baviera (952), poi in quello di Carinzia (976), diventando una contea amministrativa (comitatus) con governanti di origine germanica al posto dell’antica nobiltà longobarda e franca decimata dagli scontri.

Tra la fine del IX e la metà del X secolo, l’Europa fu funestata da una lunga serie di scorrerie violente e distruttive da parte di un popolo nomade e feroce: gli Ungari, o Magiari. Provenienti dalle steppe eurasiatiche e spinti a ovest dai Peceneghi, gli antenati degli attuali ungheresi si stanziarono tra il Danubio e il Dnestr, unendo le proprie forze sotto il carismatico principe Árpád. Da lì, si scatenò una stagione di incursioni che avrebbe profondamente segnato la storia del continente, e in particolare quella del Friuli e della Destra Tagliamento, ridotti a desolate lande di rovine.

Gli Ungari appartenevano al ceppo ugro-finnico e per secoli vissero ai margini settentrionali del Caucaso. Pastori e cacciatori per tradizione, praticavano una guerra lampo fatta di razzie improvvise, finte ritirate e devastazioni sistematiche. La loro struttura sociale era tribale, con un principe eletto e affiancato da dignitari e un’assemblea guerriera capace perfino di rovesciare le sentenze del sovrano.

Nel 898, gli Ungari appaiono per la prima volta nei pressi dell’Italia, forse varcando l’Isonzo alla Mainizza, per poi penetrare in profondità nella penisola. È l’inizio di una serie di devastazioni che per oltre cinquant’anni colpiranno in modo ripetuto e brutale il Nord Italia, e in particolare il Friuli, regione strategica e porta d’ingresso alla penisola.

Le scorrerie nel Friuli furono frequenti, e ogni volta più distruttive. Nel 899, le bande ungariche attraversarono la regione lungo la via Postumia, lasciando dietro di sé morte e desolazione. Tra il 920 e il 924 vennero assoldati dal Duca Berengario I come mercenari per sedare rivolte in Friuli. Paradossalmente, ciò provocò ulteriori devastazioni nella regione. Ma è nel 927 che si toccò uno dei punti più drammatici: la diocesi di Concordia Sagittaria, cuore spirituale e civile della Destra Tagliamento, venne devastata e quasi completamente spopolata. Il clero fu disperso, la sede vescovile abbandonata al punto che Re Ugo, nel 928, fu costretto ad aggregarla alla chiesa di Aquileia. Solo 37 anni dopo, Concordia potrà finalmente avere di nuovo un proprio vescovo.

Le incursioni ungare, insomma, non si limitarono a sottrarre ricchezze, ma distrussero il tessuto sociale e religioso del territorio friulano. Nel 938, attraversarono il Friuli per assalire Roma, venendo respinti a Rieti. Nove anni dopo,  si ripresentavano ai confini della Marca friulana. Berengario II, per deviarli, li pagò affinché andassero a devastare la Puglia. Infine, nel 954, durante la ritirata da una fallita campagna in Germania, gli Ungari attraversano per l’ultima volta il Friuli, lasciandolo ancora una volta in ginocchio.

Nel corso del secolo, il Friuli aveva dunque pagato un prezzo altissimo. Seguendo un percorso ormai consolidato che passava per la Carsia, la valle del Vipacco e il fiume Isonzo, gli Ungari si riversavano nella pianura friulana, devastando ogni centro che incontravano. Le località lungo la cosiddetta “stradalta” – da Ontagnano a Codroipo e fino a Valvasone – furono ridotte in rovina. Non è un caso che molti documenti ricordino quel percorso come “via vastata hungarorum”, anche se tale denominazione potrebbe derivare da un’errata lettura.

I villaggi furono saccheggiati, gli abitanti massacrati o deportati come schiavi. Alcuni riuscirono a salvarsi rifugiandosi in luoghi fortificati, nelle montagne o tra i canali della laguna. È proprio in questi contesti che si ipotizza la nascita di insediamenti come Tramonti o Asio.

L’ anno 955 fu decisivo per la sorte degli Ungari in Europa. Dopo decenni di incursioni e devastazioni in tutta la pianura friulana, la loro disastrosa sconfitta nei pressi di Augusta segnò la loro fine. La battaglia, vinta con determinazione dall’esercito germanico guidato dall’imperatore Ottone I, si concluse con lo sterminio di gran parte degli Ungari: i superstiti furono giustiziati, mentre i fuggitivi finirono spesso linciati dalle popolazioni esasperate. Da quel momento, il popolo magiaro si stabilì nel bacino dei Carpazi, convertendosi progressivamente al cristianesimo e trasformandosi in un baluardo contro future minacce barbariche.

In un contesto in cui l’autorità politica era frammentata – i re impegnati in lotte dinastiche e incapaci di garantire stabilità – fu la Chiesa a rappresentare l’unico punto fermo per la popolazione. Il patriarca e i vescovi friulani si fecero carico della rinascita: organizzarono il ritorno dei superstiti, ricostruirono villaggi, riedificarono chiese e promossero iniziative di difesa, come la costruzione di castelli e apprestamenti militari. Toponimi come Cinto, Centa, Spadacenta e Tarcento sono testimoni linguistici di queste opere.

Per contrastare lo spopolamento delle campagne, la Chiesa favorì l’immigrazione di famiglie slave, assegnando loro terre da coltivare nel triangolo PalmanovaSpilimbergoLatisana. I nomi di molti insediamenti fondati in quel periodo (come Gradisca, Goricizzo, Sclaunicco, Belgrado, ecc.) non solo segnano la presenza slava, ma custodiscono anche la memoria delle invasioni ungare. Alcuni toponimi come Vogarisca o il rivo Voghersca evocano esplicitamente il passaggio dei Magiari. Altri, come Villanova o Vigonovo, indicano i luoghi della ricostruzione post-devastazione. Persino Udine, secondo alcune interpretazioni, deriverebbe dall’ungherese utca (via), a indicare un punto di riferimento lungo il cammino delle orde.

Da queste ferite sarebbe nata una nuova identità, che avrebbe contribuito alla formazione di una realtà feudale a sé stante: il Patriarcato di Aquileia.