Una storia non raccontata nelle cronache, una storia che non è presente nei libri più generali ma che comunque ha un forte valore affettivo e simbolico. Quella della Grande Guerra a Pordenone è una storia di vita vissuta, magistralmente raccontata nella sua quotidianità dal giornalista  Fulvio Comin, autore di ‘Storia di Pordenone’ e ‘Storia di Maniago’, nel suo nuovo libro ‘La prima guerra mondiale nel Friuli Occidentale’.

Comin ha esposto un percorso cronologico illustrando anno per anno, evento per evento, come la città di Pordenone avesse vissuto gli anni di quello spaventoso conflitto, partendo da una prima data, il 14 aprile 1915 quando un corteo di pordenonesi sfilò davanti al municipio inneggiando alla guerra, con la disapprovazione del sindaco Carlo Policreti, liberale radicale anti-interventista poi approdato a posizioni decisamente militariste.

Viene quindi ricordato che i pordenonesi, o comunque la stragrande maggioranza, era assolutamente contraria alla guerra, principalmente per tre i motivi: innanzitutto molti erano i lavoratori stagionali che si recavano nelle “Germanie” a lavorare; non si capiva perché così ad un tratto si dovesse prendere il fucile e sparare ai datori di lavoro. Secondo: sin già dal 1914 molti imprenditori italiani in Austria erano stati cacciati e stavano rientrando in un numero sempre maggiore, senza possibilità di ricollocarsi e generando disoccupazione. Terzo: i cotonifici, cuore pulsante dell’economia cittadina, non stavano più ricevendo la materia prima dal porto di Trieste, dovendo quindi richiederla alla lontana Genova che non si interessava più di tanto.

Il 24 maggio 1915, sulla bacheca del Caffè Nuovo, viene affisso il primo bollettino di guerra: è l’inizio del conflitto. Nel 1916 arrivano in Comina i primi Caproni (aerei da battaglia), assoluti protagonisti italiani delle battaglie aeree sui cieli del Nord-Est: lo stesso Gabriele D’Annunzio soggiornerà a Pordenone nell’attesa di compiere un eroico volo su Lubiana, a cui in seguito non prenderà parte: l’ impresa, svoltasi comunque, fallì tragicamente con la morte di un suo amico, Paolo Salomone.

Il ’16 è anche l’anno in cui si comincia a mostrare una certa insofferenza, con l’occupazione della stazione di Sacile da parte degli Alpini. Ma è anche un anno di inventiva: un tale Antonio Zanussi aveva fondato una piccola industria, di quattro operai, che produceva cucine economiche.

Arrivò poi Caporetto, con tutte le conseguenze: l’occupazione austriaca comportò saccheggi, stupri (da cui si calcola nacquero 353 bambini) e violenze fino al momento in cui a Pordenone si creò un comando di tappa, che sì disciplinò i soldati ma non li fermò comunque dal compiere altri atti criminali. I pordenonesi fecero la fame, non essendo possibile nemmeno attuare i rifornimenti cittadini se non tramite permessi speciali.

Nell’ottobre 1918 finalmente rientrarono in città i soldati italiani. I soldati austriaci in fuga minarono tutti i ponti, compreso quello di Adamo ed Eva che, nonostante il tentativo d’intervento del sindaco Fortunato Silvestri, venne distrutto. Con il ritorno dell’Italia si cominciarono a fare i calcoli di quanto perduto per poter ottenere i successivi risarcimenti. Risarcimenti però non totali, dato che si restituì solo il 60% del valore effettivo di ciò che si era perso.

Comin ha voluto utilizzare i molti esempi e i molti aneddoti, contenuti nel libro, riferendosi al vissuto non solo cittadino pordenonese ma anche di tutto il territorio tra il Livenza e il Tagliamento. Un racconto, questo, dalle molte informazioni utile a capire meglio come grandi eventi storici abbiano influito nel particolare della vita quotidiana di chi viveva quella situazione nel momento in cui accadeva.

 

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