Qualche giorno fa, per svago personale, mi trovavo ad ammirare la bellissima basilica patriarcale di Aquileia. Seduto a margine di Piazza Capitolo, ho cominciato a pensare alla grandiosa storia che quell’edificio aveva e, di rimando, alla storia stessa della città: in epoca romano-repubblicana Aquileia era la seconda città dello Stato romano, in epoca imperiale la quarta in Italia; poi la decadenza alto medievale e successivamente il nuovo inizio dell’anno 1000, quando, grazie al suo patriarca, il suo nome divenne simbolo di una regione. Una regione che, per conseguenze storiche, con Venezia diverrà un costrutto amministrativo per poi cessare di esistere totalmente verso la seconda metà del XVIII secolo. Da qui fino alla fine della Seconda guerra mondiale l’identificazione istituzionale con il Veneto nella forma della provincia di Udine.

Come mai dopo quasi due secoli, allora, nasce la regione a statuto speciale Friuli-Venezia Giulia? Se si conosce il nostro passato regionale, la risposta più comune e scontata è Trieste. Ciò, come vedremo, è però in parte vero. La Storia, con la esse maiuscola, del XX secolo non sarebbe potuta andare diversamente da com’è andata e sono ben conscio che i friulani doc non gradiranno che io scriva o parli della città “arcinemica” di Udine in un articolo pubblicato proprio nella sezione dedicata in assoluto alla cultura friulana. Ma è proprio perché ne parlo che vorrei invitare a essere un po’ più elastici in tale occasione: la premessa che sto per fare è necessaria per capire non solo i motivi di questi attriti ma anche un personaggio centrale in tutto ciò.

Dopo la Grande Guerra bene o male tutti sanno che Trento e Trieste diventarono italiane. In particolare la regione triestina venne incorporata sotto il nome riassuntivo di Venezia Giulia, con al suo interno le province di Trieste, Pola, Fiume e Zara. Una regione a sé, confinante in Italia esclusivamente con il Veneto che, come suddetto, allora comprendeva tutto il Friuli storico nella provincia di Udine. I trascorsi del Fascismo sono noti, come pure quelli dell’occupazione e della lotta partigiana: la popolazione e le minoranze dell’epoca non erano certamente state trattate coi guanti di velluto. Ma è con la fine della guerra, la cessione alla Jugoslavia della quasi totalità dell’Istria, l’avvio della questione triestina e la sua logica conclusione che si intraprese quella strada inevitabile che tutti conosciamo.

Mi riferivo poco sopra a un personaggio particolare, nativo di Sedegliano, che, con le sue battaglie politiche, può essere benissimo considerato il Pater patriae della nuova regione autonoma Friuli-Venezia Giulia: costui è Tiziano Tessitori. Su di lui ho letto qualcosa in alcuni documenti e la sua storia mi è parsa parecchio interessante. Classe 1895, di umili origini contadine, ebbe modo di partecipare alla Grande Guerra e di assistere alla tragica ritirata di Caporetto, scrivendo lettere dal fronte pubblicate sul giornale “L’Avvenire d’Italia”. Durante il primo dopoguerra fu molto attivo in politica: aderito al Partito Popolare, riuscì ad ottenere nel 1920 la riforma dei patti agrari, venendo infine eletto deputato l’anno successivo, il più giovane in assoluto fino a quel momento.

Fu inoltre oppositore del neonato Fascismo, esortando in una lettera l’unione delle opposizioni contro l’avanzata di Mussolini. Per il resto, durante il Ventennio, come molti oppositori si ritirò dalla vita politica, esercitando l’arte forense per mantenersi. E fu proprio alla fine della guerra che decise di tornare nell’agone politico: il 12 luglio del 1945 sul quotidiano del Cln “Libertà” enunciò in tre articoli il suo “manifesto per l’autonomia friulana”: è l’avvio di una lunga battaglia che porterà alla nascita del Friuli-Venezia Giulia affrancato dal Veneto e che gli varrà appunto l’appellativo di “padre” della Regione.

Qualche settimana dopo, Tessitori compì il primo passo concreto, fondando l’Associazione per l’autonomia friulana. Sapeva però che da soli non si sarebbe andati da nessuna parte: nell’ottobre dello stesso anno quindi si iscrisse alla Dc per la quale venne eletto deputato alla Costituente. con l’incarico di illustrare alla Camera la posizione regionalista del partito nella stesura della Costituzione. Il 19 gennaio 1947, all’assemblea del Movimento popolare friulano per l’autonomia regionale, appena fondato da Gianfranco D’Aronco, Chino Ermacora e Pier Paolo Pasolini, tenutasi a Udine al Teatro Puccini, Tessitori fece un accorato discorso, che risulterà essere il più noto, incentrato sulla realizzazione di questa nuova regione.

Il 27 giugno del 1947, con l’emendamento Tessitori, la Costituente approvò, con lo scioglimento della regione Venezia Giulia,  la nascita e lo statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia, che inglobava quei comuni della vecchia istituzione giuliana rimasti all’Italia (in sostanza la provincia di Gorizia). E qui una cosa curiosa, quasi paradossale: tutte le forze politiche friulane si dimostrarono contrarie a tale evento. Esse temevano infatti che la specialità regionale avrebbe potuto condurre a un qualche pericolo di rivendicazioni slave. Di fatto, con Tessitori si schierò soltanto il Movimento popolare friulano. In ogni caso, si era ottenuto finalmente quanto richiesto: l’autonomia era una realtà, Udine tornava ad essere il centro spirituale e amministrativo del Friuli regionale e storico. Ma per quanto?

La cessione di buona parte della Venezia Giulia, e la situazione della zona B del Territorio Libero di Trieste avevano portato al noto problema dell’esodo giuliano-dalmata. Un problema scomodo, che il governo di Roma non seppe del tutto gestire. Trieste, in tale contesto, rispecchiava l’ultima parte della regione rimasta ancora in Italia e come tale fu vista da molti esuli come possibile mezza-soluzione al loro problema. Di fatto, molti istriani e dalmati decisero di stabilirvisi. Il 1954 fu l’anno decisivo: il TLT smetteva di esistere e al suo posto veniva creata la provincia di Trieste, annessa poi al Friuli. In questa occasione Tessitori aveva promosso la possibilità che Trieste divenisse porto franco, una città speciale nella specialità della Regione, con ampia potestà di autogoverno, lasciando così Udine come capoluogo regionale.

Purtroppo le condizioni non erano favorevoli affinché tale intento si realizzasse: Trieste, rispetto a Udine, aveva un numero superiore di abitanti, senza contare la questione più importante: la città era isolata dal suo naturale bacino economico e dietro di essa vi era un mondo economicamente non libero; il progetto di porto franco non sarebbe stato in alcun modo possibile. Infatti, se non avesse ottenuto una qualche centralità o importanza, la città sarebbe economicamente e politicamente morta perdendo tutta la sua influenza e importanza storica come porto commerciale per (e di) eccellenza dell’Adriatico. Fu un compromesso storico e territoriale: la Storia e l’attualità dell’epoca purtroppo non potevano prevedere altra soluzione. Nemmeno il progetto di una regione simile al Trentino- Alto Adige fu preso in considerazione: troppe le spese per un territorio così piccolo.

La conclusione è sotto gli occhi di tutti: Trieste, che con il Friuli non aveva mai avuto niente a che fare, diventava capoluogo di regione al posto di Udine. Ciò che invece molto spesso ignoriamo in questa vicenda è che all’origine del nobile progetto di autonomia regionale fu un uomo che, al pari di molti altri, anche a livello nazionale, può essere considerato (o è considerato) il Padre della (nuova) Patria, ritornata dopo duecento anni ad avere una sua peculiarità di gestione del territorio proprio come in passato: Tiziano Tessitori.

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