Raif Badawi, fondatore del forum online “Free Saudi Liberals”, ideato per discutere il ruolo della religione in Arabia Saudita, viene arrestato nel 2012 e condannato nel settembre 2014 a 10 anni di reclusione, una multa da 1.000.000 di  rial sauditi (circa 156.000€) e 1000 frustate, il tutto, secondo la corte d’appello, per aver violato le norme del diritto informatico e aver insultato le autorità religiose tramite il proprio blog.

La prima sessione di  frustate avviene nella piazza di fronte alla moschea di Gedda. Giunto l’esecutore lo spettacolo può avere inizio. Una, due, tre, dieci, cinquanta frustate.

Badawi voleva scrivere di politica, religione e attualità esprimendo le proprie opinioni, un messaggio che evidentemente non viene colto dal sistema giuridico saudita per il quale invece offende l’islam. Il blogger saudita diventa perciò, utilizzando un termine coniato da Amnesty International, un prigioniero di coscienza, che seppur senza l’utilizzo di violenza viene incarcerato in base ad alcune caratteristiche, in questo caso, la libertà di pensiero.

Inizia così una mobilitazione mondiale con l’intervento di numerose associazioni umanitarie quali Amnesty International ed Avaaz. Nei social scoppia l’immancabile fenomeno-hashtag “Blogging is bed for your back” o “Free Raif”.

Con diritto di vita, integrità, libertà, istruzione, lavoro, salute non si parla altro che di diritti naturali, che spettano all’ essere umano in quanto uomo. Raif Badawi, detenuto per aver esercitato il proprio diritto alla libertà d’espressione, è solo un esempio dei fatti di cronaca dell’ultimo periodo che vedono tutti la privazione di quei diritti fondamentali per i quali nella storia si è tanto combattuto.

Ciò che ci preme dunque oggi giorno è il dovere morale di batterci per i nostri diritti e nonostante coloro che per primi compiranno questo passo saranno pochi e il loro sarà un grido in un mondo sordo, resterà pur sempre un grido e da qualche parte sarà udito.

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