Lo sapevate? Pravisdomini, il “Prato del Signore”, piccolo centro agricolo disperso nelle campagne pordenonesi, feudo dei signori di Panigai, dei Della Frattina e, dal 1420, dei Michiel (tre famiglie che gestirono congiuntamente il loro possedimento in varie forme fino alla Grande guerra e oltre), esattamente un secolo fa fu teatro di un tentativo di collettivizzazione rivoluzionaria, su immagine di quanto era avvenuto in quella che di lì a due anni sarebbe diventata l’Unione sovietica.

La vita allora era però molto diversa: nel primo dopoguerra il borghetto era abitato in prevalenza da mezzadri, artigiani e muratori in buona parte dediti all’emigrazione stagionale nei territori dell’Impero austro-ungarico. Non troppo benestanti se si considera che tra essi numerosi erano i nullatenenti e i “sottani” (semiproletari) ridotti a vivere in miseria poiché i padroni delle terre su cui lavoravano non sempre rispettavano i patti colonici e le quote per i mezzadri che spesso, anziché restare sul territorio, venivano dirottate verso altre località.

Già nel 1914 c’era stata una clamorosa protesta: uno dei padroni voleva spedire lontano, via ferrovia, tutto il grano che era stato prodotto. Avuta notizia di ciò e saputo che i vagoni, stazionati ad Annone Veneto, non erano ancora partiti, quattro donne irruppero nel campanile, suonarono le campane e convocarono tutta la popolazione. Venuti a sapere cosa stava succedendo, i manifestanti presero d’assalto i vagoni e distribuirono il grano stipato tra i popolani.

La guerra interruppe queste prime agitazioni, che ripresero al sorgere dei ben più grandi e noti problemi del periodo postbellico: stante la devastazione delle campagne, molti mezzadri tentarono di rinegoziare i patti colonici con i proprietari, mentre i nullatenenti, impossibilitati a emigrare, cercarono il più possibile di crearsi lavoro. Si parlava di circa trecento operai disoccupati e centoventi persone in condizione di estrema povertà, su una popolazione complessiva di tremila abitanti.

Nel mentre, la diffusione delle idee cattoliche e socialiste prendeva sempre più piede, facendo presa proprio a Pravisdomini: in occasione delle prime elezioni libere, nell’ottobre 1920, assieme alle realtà di Pordenone, Spilimbergo, Aviano, Maniago, Cordenons e altre località della Destra Tagliamento, viene eletta un’amministrazione socialista a cui seguì, un mese dopo, l’elezione del muratore Carlo Marinato a sindaco con 11 voti favorevoli, due contrari e uno nullo. Per vizio di forma, il 24 novembre la Prefettura annullò gli esiti di questa elezione, nomine comprese, ma già al 5 dicembre Marinato era di nuovo sindaco.

Erano gli anni del Biennio rosso e tempi eccezionali richiedevano misure eccezionali: la nuova amministrazione, accanto a lavori pubblici avviati per assorbire la crescente disoccupazione, il 12 dicembre 1920 annunciò la creazione del primo consiglio-soviet dei contadini, diffidando i proprietari delle terre a non interferire, né entrare per nessuna ragione nelle terre in cui i contadini lavoravano. Tali terre sarebbero state gestite dallo stesso soviet, nominato dai lavoratori della terra, il quale assumeva anche la funzione di comitato di agitazione.

Lo stesso Marinato nelle vesti di sindaco aveva provveduto ad affiancare l’azione dei contadini e del loro consiglio sequestrando a un ricco proprietario del grano e dei viveri che costui aveva nascosto sotto un carro di fieno nel tentativo di sottrarli alla requisizione da parte del soviet.

Inutile dire che la reazione non tardò ad arrivare. Essendo in gioco il diritto di proprietà, i proprietari delle terre si sentirono direttamente e per la prima volta minacciati: già in Parlamento a Roma un deputato socialista eletto nella circoscrizione Udine-Belluno aveva avanzato la proposta di collettivizzazione delle terre mirata alla costituzione di comunità agrarie formate dalle proprietà terriere della Provincia di Udine, di cui Pravisdomini era allora parte, escludendo le piccole proprietà famigliari.  I proprietari andarono quindi personalmente a trattare coi capifamiglia dei mezzadri ma, ricevendo da questi solo diniego all’adesione delle loro richieste, dovettero rifarsi all’autorità pubblica. I carabinieri procedettero così a numerosi arresti con gruppi di contadini rinchiusi e-o deportati a San Vito.

Una sorte ben peggiore capitò al sindaco Marinato: obbligo delle amministrazioni comunali di allora era provvedere al risarcimento di quegli operai che, pur lavorando per i lavori pubblici indetti dal Comune, non erano ancora stati pagati. I soldi da Roma non arrivavano e così si ricorse alla manifestazione come unica via per richiedere i fondi necessari. Nel mentre, Marinato provvedette alla distribuzione del grano conservato presso il Consorzio granario il quale doveva però comunque essere risarcito: provvedendo personalmente a portare i soldi dovuti a San Vito, lungo la strada venne fermato, aggredito e rapinato dai fascisti. Le sue dichiarazioni su quanto avvenuto non trovarono credito tra le autorità, le quali lo arrestarono e incarcerarono per quattro mesi fino alla sua assoluzione.

Se il soviet dei contadini aveva avuto vita breve, l’amministrazione socialista di Pravisdomini resistette fino al 1922 allorché subì la sorte di tutte le amministrazioni simili decadute con la nomina di un commissario prefettizio a seguito delle dimissioni, sicuramente non spontanee, di dodici su quindici consiglieri. A seguito di ciò, nella nuova amministrazione tornarono i proprietari e quaranta famiglie mezzadrili si ritrovarono di colpo senza terra. Carlo Marinato, per il clima sempre più monopolizzato dalla violenza fascista, fu costretto all’esilio prima in Austria e poi in Argentina, tornando solo dopo il 1945.

 

Tutto ciò viene accuratamente riportato da Teresina Degan, Il Soviet di Pravisdomini, in “Storia contemporanea in Friuli”, 6, V(1975), pp. 35-40.