Perché la nostra vita è dominata dalla scontentezza,

dall’angoscia, dalla paura della guerra, dalla guerra? 

È questa la domanda a cui i registi di questo documentario provano a rispondere.
Il primo era Pier Paolo Pasolini, intellettuale eretico di sinistra, il secondo era Giovannino Guareschi, intellettuale eretico di destra. O almeno era quello a cui veniva proposto al pubblico nel febbraio 1963, quando venne presentato nelle sale cinematografiche questo doppio documentario sugli avvenimenti principali, sulla vita quotidiana e sulla società nel decennio appena passato: dalla incoronazione di Elisabetta II d’Inghilterra (1952) alla rivoluzione ungherese del 1956; dal decolonialismo africano all’embargo cubano passando per la morte di Stalin al Concilio Vaticano. Dieci anni riassunti in cinquanta minuti a testa dai due maggiori pensatori delle due fazioni opposte: uno comunista e l’altro monarchico.
La produzione tentò di invogliare i due intellettuali allo scontro verbale: si tentò di dare un tono polemico tra i due e la campagna pubblicitaria che presentava il film, nei mesi precedenti alla prima, si concentrò soprattutto su una cosa: il tifo del pubblico degli appassionati di Pasolini contro quelli di Guareschi e viceversa.
Ma non fu così: le proiezioni cessarono dopo ben tre giorni e il pubblico si trovò a vedere due documentari diversi non uno scontro intellettuale, né tanto meno un cenno di rissa tra i due dove poter fare il tifo per il proprio beniamino, come negli incontri di box.
Fu un fiasco: vuoi per le osservazioni stranamente banali e prevedibili del poeta friulano, vuoi per le considerazioni controcorrente e coraggiose dell’umorista emiliano che diedero l’impressione di esser stato più convincente e di uscirne vincitore dal dibattito. La pellicola fu archiviata e dimenticata dai più per almeno cinquant’anni.
Riscoperto nel 2008 e mostrato al pubblico per la prima volta dopo nove lustri alla mostra di Venezia, assistiamo a un doppio documentario che ha molti punti di convergenza: dalla perdita dei valori tradizionali alla reificazione dell’uomo e alla conseguente perdita del gusto, della dignità e della sobrietà, in nome del consumismo. E possiamo anche intuire quanto potesse essere scomodo un documentario del genere alle classi dirigenti di quell’epoca.

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