Nel borgo agricolo di Fagnigola, frazione del comune di Azzano Decimo, sorge il Bosco della Mantova, una piccola oasi di biodiversità dove sono state ritrovate le tracce di uno dei più antichi siti neolitici del Friuli Venezia Giulia.

Le prime attestazioni storiche al riguardo riferiscono di una grande foresta, che ricopriva completamente queste zone prima della conquista romana. Da quel momento, il bosco iniziò a essere radicalmente ridimensionato dalla massiccia opera di centuriazione a favore di un’intesa attività agricola.

Dopo essere passato sotto il controllo di varie autorità e aver recuperato un po’ di nerbo ed estensione, dal periodo di dominazione della Serenissima comincia a essere progressivamente e definitivamente ridotto fino a raggiungere l’aspetto odierno, un minuto polmone verde di latifoglie incorniciato da campi arati e dal nome d’origine incerta.

Secondo la leggenda popolare, quest’appellativo è legato a un edificio agreste chiamato el castel de la Mantova, a causa della sua mole massiccia e della piccionaia a forma di torre. Questo caseggiato era considerato la residenza di alcuni “conti di Mantova”, dal cui luogo di origine prendono il nome il vicino bosco e l’intera zona circostante. Più realisticamente, la presenza umana di antica data in questo territorio sembra far risalire la nascita del toponimo a tempi assai più antichi, forse persino antecedenti la romanizzazione. Si ipotizza, ad esempio, che “Mantova”  possa derivare da manta, parola appartenete ad una delle parlate mediterranee poi soppiantate dalle lingue indoeuropee, che ha dato origine a parole dal significato di “veste, mantello”, come il fitto manto boscoso che ricopriva quest’area.

Questa boscaglia, frequentata da fauna di piccola taglia, è costituita sia da specie arboree in passato tipiche della bassa pianura friulana, oggi molto meno ora presenti, come il carpino bianco e la farnia, sia da specie che al contrario non apparterrebbero strettamente a questo habitat come ciliegi, ontani e platani.  Inoltre, recentemente il patrimonio botanico del bosco ha acquisito ancora maggiore importanza grazie al ritrovamento di alcuni esemplari di un fiore che da alcuni anni si credeva estinto in tutta la pianura Padana: la Gagea Spathacea, caratterizzata da sei petali di colore giallo e dall’apice arrotondato.

Solo recentemente però è stata scoperta anche l’importanza archeologica di quest’area. Agli inizi degli anni settanta, durante l’aratura dei campi attigui il bosco, emersero dal suolo delle macchie circolari di terreno scuro che divennero subito oggetto di studi e di ben quattro campagne archeologiche, effettuate tra il 1974 e il 1993.

Dal ritrovamento di semi e carboni all’interno di queste macchie si comprese la loro funzione: non erano altro che pozzetti di età neolitica, usati inizialmente come silos per la raccolta e conservazione di derrate alimentari e successivamente trasformati in “pattumiere” per il materiale di scarto, tra cui numerosi resti ceramici e strumenti in selce, distribuiti anche diffusamente nell’area circostante. Nonostante non sia rimasta traccia delle strutture insediative, i resti hanno fornito agli studiosi un quadro più completo della vita e della cultura materiale delle popolazioni che, migliaia di anni fa, si stabilirono nella nostra regione abbandonando una vita di nomadismo e spostamenti, dedicandosi all’agricoltura e rendendo il Bosco della Mantova un’area da tutelare e proteggere.

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