Come ogni mattina, Ucio, il nostro lontano parente triestino, si alza e si reca alla torrefazione (La Torrefazione Triestina, per essere precisi, quel piccolo locale con la vetrinetta e l’insegna rossa e gialla in via di Cavana, 2) a bere il caffè prima di andare al lavoro.
La me fazi un nero, per favore.
Mentre gusta il suo espresso da sotto i baffi ormai ingrigiti non immagina quali storie di amore e odio, tradimento e riappacificazione, quanta cultura, quanta scienza, quali viaggi si nascondano sul fondo della tazzina.
Si narra che le prime beneficiarie degli effetti della caffeina furono le capre di un pastore etiope, le quali restarono sveglie tutta la notte a masticare le drupe rosse del misterioso arbusto e attirarono così l’attenzione del loro padrone. Da quel momento in poi, furono molti i popoli che tentarono di svelare e dominare le segrete proprietà dei frutti della Coffea, ma sopra tutti si imposero gli Arabi, che nel 1200 d.C. intuirono la tostatura dei chicchi come unico metodo per preparare una bevanda che non fosse troppo amara e, in ogni caso, già da molti anni ne monopolizzavano il commercio. Solo un traditore riuscì a rompere questo monopolio: l’indiano Baba Budan, che durante un pellegrinaggio a La Mecca ingerì sette bacche e le porto con sé al proprio paese natale per piantarle.
Secondo la leggenda, questo accadeva pressoché nello stesso periodo dell’invasione turca di Vienna. Nel 1683 i Turchi si ritirarono e furono costretti a lasciarsi alle spalle ingenti quantità di attrezzature e provviste, tra cui svariati bauli di chicchi tostati. Un militare viennese, per festeggiare la vittoria, decise di sfruttare quel piccolo tesoro per aprire Zur Blaue Flasche, il primo caffè viennese. Il caffè veniva servito melangè, ovvero con latte e miele per risultare meno amaro, pratica che portò poi alla creazione del cappuccino. Non a caso tra i maggiori cultori di questa specialità si annoverano gli austriaci, che d’estate affollano le nostre spiagge e sorseggiano cappuccino ad ogni ora: la loro passione ha radici lontane.
All’epoca la punta di diamante dell’ Österreichiches Kustenland (il litorale austriaco) era una piccola cittadina ai confini dell’Impero, Triest, la quale nel 1719 ebbe la grazia di essere nominata porto franco dall’imperatore Carlo VI e nell’arco di un secolo e mezzo vide la propria popolazione passare da 3000 a 200 000 abitanti. I preziosi chicci erano probabilmente già giunti in città un secolo prima, portati dai veneziani (i quali intrattenevano un ricco commercio con lo Yemen), che a loro volta li avevano scoperti grazie ad un gruppo di studenti padovani allievi del botanico Prospero Alpini. Trieste era forse ancora una cittadina modesta, ma proprio il suo essere “terra di confine” le conferiva un enorme potenziale.
Nel 1830 e nel 1839 aprirono i battenti il Caffè Tommaseo e il Caffè degli Specchi, che nei secoli hanno accolto centinaia di migliaia di austriaci, italiani, sloveni, serbi e croati, titini e fascisti, militari neozelandesi, tedeschi, americani, ebrei e cristiani e musulmani, poeti, scrittori, scienziati, commercianti e uomini di mare, persino impiegati qualunque quali il nostro lontano parente Ucio, che adesso si asciuga soddisfatto i baffi.
Egli probabilmente ignora tutto ciò, ma qualcosa scritto in profondità nel suo patrimonio genetico gli fa per un istante avere sentore di tutte le mani che, proprio come la sua in questo momento, hanno appoggiato una tazzina vuota sul piattino, di tutte le vicende che si sono consumate davanti a chissà quanti miliardi di caffè, di tutte le idee, le opinioni e le voci che sono state amalgamate e disperse nell’aria calda e aromatica di una stanza come quella in cui si trova adesso.
Questa affascinante storia di viaggi e viaggiatori (primo fra tutti, il chicco di caffè) ha proseguito in Olanda, Francia, America Latina, ma è proprio il ruolo fondamentale che ha svolto e continua tuttora a svolgere a Trieste che è valso alla città il titolo di Capitale del Caffè all’Expo 2015.
Sono di fondazione triestina sia la Hausbrandt (1892) sia la Illy (1933) e dal 2008 il Trieste Coffee Cluster riunisce tutti gli operatori del settore del caffè per valorizzarne il lavoro a livello locale e mondiale. Nel 2002 è stata fondata da Andrea Illy l’Università del caffè, che offre formazione a studenti, operatori del settore e appassionati e che oggi vanta ben 20 sedi in tutto il mondo.
Accompagnata dagli scatti espressivi di Sebastiao Salgado – raffiguranti l’altra faccia della medaglia, ovvero l’universo delle piantagioni e dei popoli che oggi si occupano della coltivazione degli arbusti del caffè – si è tenuta da maggio a novembre 2015 la mostra Trieste: Capitale del Caffè, che ha alimentato con un dolce aroma la diffusione di questa splendida cultura.
La prossima volta che bevete un caffè, sapete cosa leggere sul fondo della vostra tazzina (e magari anche come attaccare bottone con l’affascinate persona a fianco a voi).
Nata a Pordenone nel 1993, attualmente studio Medicina e Chirurgia all’Università di Trieste. Per il futuro, sono orientata verso la specializzazione in Psichiatria: oltre all’interesse “didattico” per tutto ciò che riguarda la mente (neuroscienze, psicologia, antropologia), credo fermamente nella necessità di sviluppare, a livello sociale, una “cultura della psichiatria” e di tutto ciò che vi gravita attorno. Nonostante il poco tempo libero (anzi, forse proprio per questo motivo) cerco di mantenere vivo l’interesse per alcune cose belle: i libri, i cani, la musica (canto nel Coro Oberdan di Trieste), i viaggi e, da tempi recenti, lo yoga.