Tra tutte le realtà della regione, quella industriale di Trieste è senza dubbio tra le più importanti, non solo per ciò che da essa venne ricavato ma anche perché determinante dell’identità cittadina. Questa realtà come noi oggi la conosciamo è la risultante di due momenti ben distinti: uno appunto recente, che interessa gli ultimi venti anni, e uno più retrodatato nel tempo. Per capire meglio lo sviluppo di quella che poi sarebbe stata una fortuna tutta triestina si deve fare quindi focus su ciò che effettivamente portò avanti e sviluppò la città stessa: la cantieristica.

Se escludiamo la produzione di sale (già attività primaria per la città sin dall’epoca dell’impero romano) e qualche attività di artigianato, che pure ebbe in qualche caso grandi fortune, anche internazionali (come le distillerie Stock), la produzione navale determinò l’identità cittadina fin dai tempi più antichi, in quanto impegno primario di tutte le popolazioni costiere della regione e in particolare della popolazione triestina stessa, al punto da condizionarne l’economia.

Nel XIX secolo infatti sorsero numerose industrie legate soprattutto all’attività dei cantieri. Tra i tanti esempi che si possono fare ricordiamo i Cantieri San Marco, San Rocco, e la fonderia Strudthoff per la fabbricazione di macchine navali a vapore. Assieme a questi si svilupparono parallelamente le compagnie di assicurazione, come la RAS e Generali, a simboleggiare un’economia in grandissimo e dirompente sviluppo pienamente inserita nel circuito europeo.

Ed è proprio in questo circuito che Trieste avrà grandi rivalità: i porti di Brema e Ambrugo, con la loro concorrenza, generarono forti momenti di stasi, se non di regresso, proprio a partire dalla seconda metà del secolo. Fortunatamente Trieste era piena di risorse: grazie all’apertura di nuove strade e il perfezionamento della ferrovia con l’entroterra, la città seppe riammodernarsi passando dall’essere un semplice emporio, quale era fino a quel momento stata, a una stazione commerciale e di transito. Sono questi i decenni che vedono la fondazione dell’Arsenale del Lloyd e che vedono una nuova fase di dinamismo tra la fine del secolo e la Grande Guerra.

Naturalmente questo sviluppo non sarebbe stato possibile grazie ai provvedimenti governativi, che favorirono l’insediamento di varie fabbriche, il potenziamento dei cantieri e di nuove strutture naval-meccaniche e la nascita di nuove società di navigazione. In epoca moderna, la cantieristica crebbe in ampiezza e qualità, assecondando lo sviluppo economico in frenetica ascesa e raggiungendo nel Novecento traguardi mondiali. Fu la saldatura delle attività tra Trieste e Monfalcone con i Cantieri Riuniti dell’Adriatico.

Da questi vennero varati autentici gioielli della marineria adriatica. Basti pensare alla motonave “Victoria“, varata il 6 dicembre 1930: verso la fine degli anni Venti il Lloyd triestino si trovò ad affrontare un problema non indifferente e che non poteva essere tralasciato da parte di una compagnia di navigazione, ossia rimpiazzare due unità ormai superate, la “Helouan” e la “Vienna“, due vecchi piroscafi nati ancor prima della guerra che, fatto salvo per la parentesi bellica, avevano servito dignitosamente la linea espressa tra l’Italia e Alessandria d’Egitto. La concorrenza genovese e la ricapitalizzazione del Lloyd in quello sabaudo inclinarono la Società armatoriale a ordinare una sola nave, appunto la Victoria, prevedendo, in caso di congiuntura economica favorevole, una gemella.

Nei progetti tale nave sarebbe poi diventata l’ammiraglia della compagnia. E così fu: tecnologicamente avanzata, fu la prima imbarcazione al mondo ad adeguarsi alle nuove direttive per la salvaguardia della vita umana in mare, promulgate nel 1929. Divisa in undici compartimenti stagni, la Victoria montava dei moderni motori diesel  che la rendevano oltremodo veloce. Nonostante le sue dimensioni ridotte rispetto ad altri transatlantici, possedeva persino un garage per il trasporto di autovetture. Oltre a ciò aveva una linea aggraziata e filante, con gli interni decorati in chiave contemporanea e un salone di prima classe dotato di aria condizionata.

Già alla sua prima uscita in mare, nel giugno 1931, la Victoria stupì gli ingegneri che la progettarono e tutto il mondo dello trasporto marittimo internazionale: la potenza istallata avrebbe dovuto spingerla per contratto ad una velocità massima intorno ai 21,5 nodi invece, durante le prove in mare in Adriatico, superò agilmente i 23 nodi facendone così la più veloce nave del mondo con propulsione diesel. Convertita in nave da trasporto truppe durante la guerra, venne colpita e affondata da un siluro inglese nel golfo della Sirte il 24 gennaio 1942, portando con se 249 uomini.

 

Fonti: Touring Club Italiano, Italianliners.com

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