Il Satyricon è un’opera unica: quando la si studia nei licei un po’ ci destabilizza perché dopo filosofi, alti poeti e storici nessuno si sarebbe aspettato un romanzo d’avventura. (Non dovrei chiamarlo così lo so).

Questo destabilizzante racconto provoca due tipi di reazioni: quelle classiche che ne dipingono i soliti banali tratti, fanno leggere le solite parti e quelle di chi invece cerca di andare oltre, gli studenti soprattutto. Alcuni studenti liceali, lo so per esperienza direttissima, si chiedono spesso il perché di tutto questo, la critica non lo spiega ma c’è sicuramente dell’altro.

Probabilmente questo “altro” ha voluto indagare Gian Mario Villalta. La sua interpretazione rovescia i tipici schemi del Satyricon. I protagonisti non sono fannulloni ma geni incompresi che però comprendono benissimo che cosa li circonda. Nella sua versione 2.0 sono due ricercatori universitari, vengono dalla profondità di questo strano Nord-Est e sono disoccupati. Due outsider nella società moderna: conoscono a memoria i grandi classici, leggono Heidegger e sono alla disperata ricerca di qualcosa di vero.

Attenzione, però. Attenzione a non cadere nel drammatico. Villalta non vuole dare il solito tratto del disoccupato moderno, il suo è un divertissement. Il ritmo è “giambico”, incalzante e avvincente. Il linguaggio è satirico: riesce a mixare alti riferimenti con le più basse pulsioni dei personaggi.

Seguendo il modello di Petronio, il libro racconta di un viaggio di avventura tra il Nord-Est, Roma e l’Italia. Non manca poi la famosa cena. Questa volta il Trimalchione è un rozzo signore veneto arricchito, Sandro Gazzo, che ha voluto celebrare i suoi 60 anni affittando un aeroporto. I due ricercatori si imbucano a questa festa, non vengono invitati. Il signor Gazzo come Trimalchione si cimenta nel parlare inglese però poi cade inevitabilmente nel dialetto veneto. Un sali-scendi di registri di chi non ha nulla da dire ma che sa solo come apparire.

I nostri outsider capiscono che in questo mondo dominato dall’immagine, dalla comunicazione loro rimarranno degli emarginati. E allora cosa c’è di vero? Villalta ci vuole lasciare qualcosa: di vero c’è la loro amicizia, di autentico ci sono le passioni e la ricerca dell’avventura che animano i cuori di questi giovani. La loro lotta è la lotta di chi non si arrende ad un mondo che non approfondisce, che non si interroga, perché non ne ha tempo ma soprattutto non ha voglia.

L’unica via di fuga è il viaggio, alla ricerca di questa verità che forse esiste o forse è l’ennesima illusione.

(Photo: http://www.pordenonepoesiacommunity.it/) 

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