L’ignoto. Lungi dal voler parlare di filosofia, l’ignoto è il quesito che non avrà mai una risposta, perché effettivamente non sarebbe tale se ne avesse una.

Soffocati dalla staticità delle nostre azioni, dallo stato di paralisi che ci pervade ogni qual volta dobbiamo prendere una decisione, dalla mancanza di concretezza che ci contraddistingue oggi, non siamo più in grado di prendere decisioni. Ma se non siamo più in grado di farlo, come possiamo solo pensare di poter conoscere l’ignoto? Di provare, rischiare, sbagliare, imparare?

Agire sarebbe il vero inizio del viaggio, “perché quando sei immobile da troppo tempo non ti resta che gettare tutto all’aria e buttarti e pregare.” E nessuno meglio di Robyn Davidson potrebbe incarnare questa riflessione. Sono gli anni ’70, Robyn ha venticinque anni, un cane, quattro cammelli e un progetto folle: attraversare l’outback australiano da Alice Springs all’Oceano Indiano. 2700 km di puro ignoto, o quasi. Dopo aver accettato la sponsorizzazione da parte di National Geographic e aver stipulato un accordo con il fotoreporter Rick Smolan, che immortali l’impresa, la Davidson saluta i parenti e gli amici più stretti e parte per un’epica avventura che la porterà alla scoperta di se stessa. Il viaggio, oltre che apparire nell’edizione del 1978 del National Geographic, verrà raccontato in un’autobiografia (bestseller) dalla donna, diventata dopo trentasette anni anche un film, Tracks.

Ogni giorno siamo tenuti a prendere delle decisioni, semplici, difficili, sofferte; quello che le caratterizza tutte è il fatto che diranno chi siamo e segneranno il nostro cammino passo per passo, chi vogliamo essere e chi vogliamo diventare. Erano gli anni ’70 e Robyn intraprese la scelta che le cambiò la vita. Quarant’anni dopo non riusciamo a fare neanche le scelte più semplici, ci chiamiamo fuori perché abbiamo paura di sbagliare e non sappiamo quello che ci aspetta, quello che troveremo d’avanti a noi. Ma è per questo che la vita è “achingly beautiful”, dolorosamente bella, come The Telegraph ha definito il film sul viaggio della Davidson, perché la vita non può che essere descritta con un ossimoro. Non rimane che guardare negli occhi la paura e tuffarsi nel grande mare dell’ignoto.

 

 

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