Per chi ha un po’ di dimestichezza con i social appare ormai evidente che di Expo si è parlato anche troppo. La cognizione di causa si è persa già da un pezzo e l’unica cosa rimasta sembra sia aspettare la sua inaugurazione. Del resto funziona così: a meno che non si parli della finale di Champions l’entusiasmo per una grande manifestazione svanisce nel giro di poche settimane, per lasciare immediatamente posto all’indignazione.

Eppure bisogna ammetterlo, qualche critica in questo caso è più che legittima.

I ritardi nel completamento dei lavori sono difficili da mandare giù, figuriamoci per i visitatori che nei primi tre mesi dell’esposizione non potranno ancora visitare tutte le aree per cui hanno pagato il biglietto. Il completamento di alcuni siti come la Via d’Acqua e l’Anello Verde Azzurro è infatti previsto per agosto 2015, ma a destare maggiore preoccupazione sono il Padiglione Italia e Palazzo Italia, edificio che rappresenterà lo Stato e il Governo Italiano.  Nessuno dei due sarà pronto per l’inaugurazione del primo maggio.  C’è poi la questione portafoglio. Già di per sé Milano non è la città più economica d’Italia, se a questo fattore si aggiungono i 69 euro da pagare per l’ingresso di due adulti e un bambino, l’equazione darà come risultato ben poche famiglie ad Expo 2015.

Queste sono solo alcune delle ragioni che hanno portato molte persone a dire no all’Expo, ma sono forse le più comprensibili.  La più interessante è stata invece la querelle che ha visto come protagonisti McDonald’s e Coca-Cola.

La partecipazione dei due colossi del fast food come sponsor ufficiali di Expo non è andata giù proprio a nessuno. Del resto, che tale notizia avrebbe suscitato delle polemiche era fin troppo scontato. Eppure è ancora più ridicolo il modo in cui si improvvisano delle vere e proprie apologie alla loro presenza, con tanto di ponderate argomentazioni sul fatto che alcune politiche industriali e alimentari, recentemente decise dalle due multinazionali, possano giustificare la loro aderenza ai principi di un’alimentazione più equilibrata e rispettosa della biodiversità, grazie alla quale sarà possibile sfamare il pianeta.

Il padiglione con cui Coca-Cola parteciperà a Expo avrà le dimensioni di un campo da basket, sarà completamente smontabile e realizzato in materiali sostenibili come legno, vetro e acqua. Ancor più sostenibile è l’iniziativa con cui la multinazionale si impegna a ridurre di un grammo la quantità di plastica utilizzata per ogni bottiglia, un impatto enorme quanto a riduzione di tonnellate e tonnellate di plastica impiegata.
La partecipazione di McDonald’s all’esposizione universale è invece il punto di arrivo del progetto “Fattore Futuro”, l’iniziativa rivolta a imprenditori agricoli italiani con meno di 40 anni, che abbiano sviluppato un progetto di innovazione e sostenibilità per la propria azienda: a 20 di loro McDonald’s offrirà di entrare a far parte dei propri fornitori italiani per tre anni.

Compiere i primi tentativi per ridurre il proprio impatto sull’ambiente, migliorando al contempo la qualità dei piatti serviti e degli ingredienti utilizzati, è sicuramente un passo in avanti da accogliere con grande entusiasmo, ma questo non significa aggiudicarsi improvvisamente il distintivo di paladino del cibo buono e giusto.

La possibilità di avere due multinazionali del cibo come sponsor ufficiale di una manifestazione che ha come tema “Nutrire il pianeta: energia per la vita” è invece tutt’altra cosa. Certamente nessuno vorrebbe i due simboli dell’omologazione alimentare in prima fila ad un evento del genere, ma vediamo di chiarire un paio di cose. Primo, Expo non è un convegno accademico in cui gli esperti si incontrano per proporre e discutere le linee guida della materia, ma un evento soprattutto mediatico, internazionale, economico, di intrattenimento e svago, che al limite può arricchire i visitatori con alcuni spunti di riflessione, nel bene e nel male. Secondo, McDonald’s e Coca-Cola sono attori fondamentali dell’industria alimentare del pianeta, realtà che possono influenzarne notevolmente le sorti, che piaccia o meno, dall’alto del milione di persone che sfamano ogni giorno nel mondo.

Questo è quanto serve per giustificare la presenza delle due multinazionali all’esposizione di Milano, senza dimenticarsi che ogni giorno le incontriamo in ogni angolo della Terra, a prescindere dall’Expo. E senza dimenticarsi che McDonald’s e Coca-Cola sono soltanto alcune delle multinazionali del cibo coinvolte nella kermesse: lo stesso discorso può essere rivolto a Ferrero, Algida e San Carlo, anch’esse multinazionali del cibo, anch’esse sponsor di Expo e anch’esse di certo non famose per la qualità e la genuinità dei cibi messi sul mercato. Eppure di queste nessuno sembra parlare.

La contraddizione di averle come sponsor di un evento che si impegna invece a valorizzare il cibo sostenibile e sano rimane tuttavia evidente. Ma stride ancor più se si cerca di giustificare tale situazione sostenendo l’attinenza ad una corretta alimentazione. Sarebbe meno ipocrita riconoscerli come puri sponsor economici, con l’invito ad essere più responsabili della salute dei loro clienti e del pianeta. Servono sponsor e soldi? Basta ammetterlo.

Poi ognuno è libero di fare le sue valutazioni, di decidere se mangiare pasta, pizza o hamburger.

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