Nel mondo irrefrenabile di oggi molte persone si sentono spesso pervase da un sentimento difficilmente concepibile, che le spinge a provare nostalgia per epoche e momenti mai vissuti in realtà.

Tale stato d’animo è probabilmente legato a periodi di progresso economico e scientifico, che da un lato migliorano la vita della gente, ma dall’altro la intrappolano in un labirinto di frenesia e continuo movimento. Proprio questo secondo aspetto fa emergere nelle persone quell’intimo bisogno di semplicità che le contraddistingue, quel bisogno di legarsi ad un particolare momento di condivisione, di trovare stabilità a certezza in tradizioni lontane da quel mondo moderno.

In questo senso sono davvero numerose le situazioni che i nostalgici vorrebbero vivere. Le nostre terre offrono un bagaglio di tradizioni e rituali assolutamente invidiabili, che tuttora influenzano le nostre vite in modo più o meno esplicito. Accade così che molti di noi vorrebbero passare le fredde serate invernali nelle stalle, a giocare a carte scaldandoci affianco alle bestie, oppure vorrebbero partecipare alla rituale preparazione del pan e vin, vorrebbero provare a salire il palo della cuccagna o assistere all’uccisione in casa del maiale.

Il momento in cui se copa el porsèl è forse il più significativo e completo fra tutti questi rituali. Rappresentava un giorno di festa lungamente atteso, nel quale finalmente si raccoglievano i sospirati frutti di mesi e mesi passati amorevolmente a nutrire e ad allevare il maiale. Ma era soprattutto una festa alla quale partecipava l’intera collettività, secondo ruoli ben precisi e stabiliti nel tempo.

Il giorno dell’uccisione variava secondo la disponibilità del parente o dell’amico specializzato nel compito di sgozzare l’animale, ma ciò accadeva quasi sempre alle porte dell’inverno.  La sera prima venivano preparate le corde e le travi che avrebbero sorretto il maiale durante la sua macellazione, la mattina stessa invece si metteva a bollire un pentolone d’acqua  per eliminarne le setole appena morto.
Le ore erano ormai segnate per la bestia, che dopo il digiuno necessario a permettere uno svuotamento completo delle viscere, iniziava a comprendere con estrema sensibilità ed intuito la propria sorte. Le donne cercavano sollievo alla coscienza nelle preghiere, i bambini si nascondevano sotto le cotole o fuggivano verso gli alberi più alti, secondo quello che per loro rappresentava un vero e proprio rito di iniziazione.
Eppure, mentre il maiale urlava morente, gli uomini sorridevano chiacchierando fra loro, fieri di tale successo. D’altronde si trattava di predisporre le risorse alimentari per i mesi a venire, e così ognuno si occupava minuziosamente della preparazione di salami e musèti, salsiccie e luganeghe, del taglio delle sàte e delle orecchie, della raccolta del sangue.

Del maiale poi non si butta via niente. Eccezion fatta per i tagli nobili della bestia, ottimi per saporiti arrosti o grigliate, ogni parte del maiale aveva un suo utilizzo. Con l’intestino si insaccano salsicce e figadèi, il lardo sostituiva l’olio in ogni suo utilizzo, per soffriggere, condire, riscaldare ogni cosa. Testa, zampe ed ossa del suino erano semplicemente salati ed utilizzati a poco a poco, tagliati a pezzetti, per dare un po’ di sapore alla minestra di verdura o di fagioli. Quel poco di carne che restava ancora intorno alle ossa, lessata e salata, era considerata cibo prelibato. Con il sangue si preparava il sanguinaccio, un dolce gustosissimo tipico del Carnevale, con lo strutto si realizzavano delle candele e con le setole dei pennelli.

Insomma al maiale veniva riservato il rispetto che meritava. Dopo aver vissuto assieme a lui per oltre un anno, i membri della famiglia finivano per affezionarsi e conoscerlo nei suoi minimi particolari, prestandogli ogni singola attenzione potesse onorare il suo sacrificio.

“Quando muore un vecchio muore una biblioteca”, si è soliti dire. E in effetti con le nuove generazioni sono ben poche le famiglie che hanno mantenuto viva questa tradizione. Eppure il suo valore resta innegabile, radicato com’è nelle terre in cui viviamo, tanto che qualcuno, ancor’oggi, sogna di poter vivere quell’esperienza con i propri occhi.

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