La stagione primaverile è forse il più affascinante fra i quattro periodi dell’anno. Evoca la rinascita della Natura, rappresenta un nuovo ciclo di vita nelle campagne e allontana i rigori dell’inverno trascorso.

Questo nuovo inizio è senza dubbio scandito dalla fioritura degli alberi che ancora colorano le nostre strade, così come dai fiori variopinti che animano le campagne.
Pensare che la primavera sia soltanto una gioia per gli occhi sarebbe tuttavia sbagliato, perché non sono soltanto i fiori a spuntare nei campi.

Il Friuli è particolarmente noto infatti per la presenza di una vastissima gamma di erbe spontanee commestibili, che nel periodo fra marzo e aprile fanno la loro comparsa nelle campagne. Al Dipartimento di Biologia dell’Università degli Studi di Udine va riconosciuto il merito di aver catalogato, in un portale on-line consultabile liberamente, le oltre 1500 piante che crescono in regione, molte delle quali vengono ancora utilizzate nelle cucine friulane.
In origine tali piante rappresentavano una fonte di sussistenza fondamentale per gli antichi popoli friulani, che se ne cibavano abitualmente. A queste erbe si sono così legate nel tempo diverse tradizioni, come quella dei cramars in Carnia. Questi venditori ambulanti (dal tedesco “krämer”, ovvero “mercanti”) partivano, durante i mesi invernali, verso l’Austria, la Germania e l’Ungheria, con in spalla il tipico zaino a forma di armadietto, per commerciare il prodotto secco raccolto nei mesi primaverili. Al loro rientro le donne recuperavano tutte le erbe avanzate e preparavano gustose minestre e frittate.

Anche il pordenonese è ricco di queste erbe, soprattutto nella zona dei magredi e in quella ai piedi della pedemontana. Qui i profumi della primavera si riconoscono nel grisol, nello sclopit  (noto anche come silene, stringoli o strigoli), utilizzati per la preparazione di ottimi risotti o frittate, i fiori di sambuco, che avvolti nella pastella diventano ottime frittelle, ma anche l’erba cedrina, il radicchio di montagna, il tarassaco,  l’erba Luisa, la melissa, la menta, l’achillea, il timo serpillo e tante altre.
Numerosi sono gli utilizzi di queste erbe sia in cucina che in infusione per ottenere grappe particolari, infusi e sciroppi.

Ciò che la raccolta delle erbe spontanee rappresenta è però soprattutto la possibilità di riappropriarci del valore della Natura, ricordandoci che la coltivazione, infondo, è un’invenzione umana, prima della quale i nostri antenati raccoglievano quel che il territorio nel quale vivevano dava loro, senza la necessità di coltivare ettari su ettari di terreno.
Allo stesso modo la raccolta di queste erbe edili è fondamentale per continuare a rendersi conto che anche oggi, come nel secolo o nel millennio scorso, è la stagionalità a dettare i ritmi delle nostre vite. Sono infatti le stagioni a regolare i cicli vitali, il lavoro e l’alimentazione. Per questo bisogna accettarli, sfruttarli e godere appieno dei loro frutti, facendosi trovare preparati nel caso di periodi di minore abbondanza.

Bisogna rendersi conto, insomma, che per affrontare il presente non è sufficiente il solo pensiero moderno, e che il nostro futuro va costruito sui paletti dei saperi antichi.

Lascia un commento