Complimenti per il lavoro svolto, attestazioni di stima e di vicinanza, applausi: così le persone in fila fuori dal Palaprovincia di Largo S.Giorgio hanno accolto stamattina l’ex magistrato di Mani Pulite Gherardo Colombo.
Scene che riportano alla memoria di chi ha vissuto gli anni di Tangentopoli quei cori ”Di Pietro-Di Pietro” con i quali comuni cittadini esortavano il Pubblico Ministero ed il suo pool a portare a termine l’inchiesta che ha portato alla caduta della cosiddetta ”prima Repubblica”.

Al centro dell’incontro la presentazione del nuovo libro di Colombo, “Lettera a un figlio su Mani Pulite“, un’opera divulgativa e didascalica che si ripromette di fornire una testimonianza diretta di quegli eventi alle generazioni più giovani.
Lo svolgersi dell’incontro è coerente con la narrazione dell’autore: quella di Colombo è un’esposizione itinerante, una passeggiata tra le due ali di pubblico che coinvolge e tiene vivo l’interesse.
È, soprattutto, una lezione sull’importanza della storia recente come magistra vitae che vede come interlocutori privilegiati i ragazzi e le scolaresche presenti in gran numero in sala, resi partecipi – con tono scherzoso ma puntuale – di continui botta e risposta: ”Chi sa dirmi cos’è un appalto?”.

Il racconto dei fatti di corruzione di quegli anni, reso più semplice ed edibile per ragioni didattiche, sembra risentire a tratti di una qualche vena di moralismo da parte di chi, seppur non fisicamente ex cathedra, parla con tono professorale.
Ma è proprio questa similitudine con una lezione che permette forse di cogliere il senso ultimo dell’incontro.
Le domande agli studenti presenti in sala si trasformano in una specie di interrogazione sui principali eventi della nostra storia recente: il sistema tangentizio scoperchiato nel ’92, le bombe del terrorismo alla stazione di Bologna e alla Banca Nazionale dell’Agricoltura, la loggia P2.

Poche mosche bianche sanno di cosa si sta parlando, eppure in molti riescono all’opposto a rispondere quando Colombo, con artificio retorico, li invita ad elencare i nomi dei sette re di Roma.
Ecco la riflessione coram populo dell’autore: “perchè la scuola in Italia insegna i nomi dei re di Roma e non insegna la P2?”.

E’ in questo momento che si esplicita il non detto di fondo, è qui che l’insegnamento diretto ai più giovani si trasforma in monito indiretto per le generazioni dei genitori, degli educatori, dei professori.
Dopo una vita passata al servizio della repressione dei crimini, Gherardo Colombo si è convinto dell’imprescindibilità dell’educazione al rapporto con le regole come anticorpo contro i fenomeni criminali.
Non risparmia stilettate agli adulti in sala e soprattutto a quanti hanno la responsabilità di trasmettere le conoscenze ai più giovani: un compito di educazione civica e storica che l’ex magistrato porta nelle scuole.

La Sua finisce quindi per essere una chiamata alle armi, ed in corresponsabilità, a quello stesso pubblico che l’ha acclamato all’ingresso in sala, quasi a voler dire: ”ma che abbiamo indagato a fare se non ne viene trasmessa memoria?”.
L’esortazione ormai del tutto esplicitata è rivolta proprio a chi nelle parole di Colombo cercava piuttosto un’abluzione delle proprie piccole mancanze civiche o morali, o la rassicurazione contro i fenomeni di malaffare che riempiono ancor’oggi le cronache dei giornali.

Agli studenti resta di quest’incontro il privilegio di aver sentito raccontare la Storia da uno dei suoi protagonisti; a tutti noi la tentazione, finito di applaudire, di guardarci i palmi delle mani.

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