Ogni leggenda ha una radice storica, poi trasfigurata dalla creatività dell’uomo. Il tempo della mitologia popolare si liquefà come neve al sole ricombinandosi in molteplici forme anche antitetiche tra di loro. L’anguana è una di quelle figure popolari soggette più di tutte alla metamorfosi, sia nella narrazione, che nelle caratteristiche fisico-morali.

Un unico dato è inscalfibile in questo torbido retaggio della narrazione orale: tutte le agane dal Friuli orientale alla Lombardia sono contraddistinte dall’elemento del bucato. Soffermandoci sul Friuli, riscontriamo alcune leggende a riguardo. Qui, soprattutto nella zona occidentale, compare spesso il motivo del bucato diurno, almeno da parte delle agane della Val Colvera e delle rogge di Casarsa. In altri luoghi, come nei pressi di Susans sul fiume Tagliamento, le nostre misteriose ninfe si recavano per lavare i panni; oppure a Blessano, dove si racconta che costoro fossero viste di notte, e che la loro apparizione, durante il plenilunio, rendesse la biancheria più candida.

A seconda della diversa tradizione, le agane erano bravissime o pessime, ladre o vittime di furto del bucato, che in quest’ultimo caso si trasformava in cenere una volta nelle mani del trafugatore. Così a Schio, nel vicentino, si tramanda che un uomo rubò di notte il cesto contenente la biancheria delle anguane del Fontanon, e la mattina successiva lo trovò ricolmo di cenere e tochi de carbon.

L’altro elemento imprescindibile dell’anguana è l’acqua. Propp nel celeberrimo “Radici storiche dei racconti di fate” indica nell’acqua lo snodo di passaggio tra il mondo umano e quello dei morti. E non a caso a riguardo è diffusa la convinzione che in alcuni luoghi fluviali siano confinate le anime in pena.

Utilizzando la liscivia o lissia, cioè il detersivo, si faceva il bucato in riva all’acqua. Questa era un’attività non quotidiana, concentrata soprattutto tra la primavera e l’autunno. Infatti tale operazione, esclusivamente femminile, era vietata da interdizioni, riguardanti la Settimana Santa e la festa dei morti, momenti dell’anno in cui le anime dei morti riapparivano sulla terra.

Dunque le anguane, come le lavandaie professioniste, erano incaricate di lavare i panni dei neonati e dei morti, avevano il compito di vigilare, in qualità di guardiane, sui due “passaggi” estremi dell’esistenza. Invece qui il bucato straordinario è il lavaggio dei panni, per estensione le anime dei morti da purificare, prima che possano ascendere in alto e ottenere la pace, allegoricamente giungere in Paradiso. Come si è visto in precedenza la funzione di protezione, seppur declinata in altri termini, è stata riscontrata nella figura dei controstregoni.

Non a caso in una leggenda ampezzana un uomo, che aveva da poco messo il fieno ad essiccare, viene punito con la morte della figlia per aver gettato nel lago il bucato delle anguane; indirettamente il furto dei panni avrebbe costretto le anime dei penitenti a ritornare tra i vivi.

Se questa leggenda popolare vi ha conquistato e cercate un nuovo modo per rendere il vostro bucato più lindo e pinto, durante la notte appostatevi presso le rocce vicino ai fiumi, da cui le anguane prendono il loro nome (gana, ganna, gand), non sia mai che riusciate a vedere una di queste strane creature.

 

Letture consigliate:

Giosuè Chiaradia, I giorni delle streghe. Mitologia popolare del Friuli occidentale, Pordenone, Ass. ProPordenone, 2010.

Daniela Perco, Le Anguane: mogli, madri e lavandaie, in La Ricerca Folklorica, No. 36, Leggende. Riflessioni sull’immaginario (Oct., 1997), pp. 71-81.

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