Fin da bambini ci insegnano che sbagliare ci aiuta ad imparare; e non bisogna farsi prendere dallo sconforto se non siamo i vincenti, ma consolarsi  perché la volta dopo toccherà a noi…o quanto meno saremo migliorati.

Questo generale clima buonista sottende altro. Perché dietro a nozioni di questo tipo riceviamo fin dall’infanzia messaggi di diversa natura; come ad esempio lo può essere il temutissimo “bisciolino” rosso nel compito del professore (per non parlare della doppia barra, peccato capitale!), un giudizio troppo affrettato di un estraneo o della ragazza/o che ci piace, una stonatura durante un concerto. Così si impara presto ad aver paura di sbagliare.

Ognuno di noi perciò farà di tutto per evitarlo.

E se fosse proprio aggirando l’ostacolo che sbagliassimo? E se in fondo “le nozioni buoniste” impartiteci fin da piccoli fossero giuste? La prospettiva allora cambia e a spiegarlo sarà Kathryn Schulz “errorologa” e giornalista per il New Yorker, che sostiene che non solo dovremmo ammettere, ma addirittura abbracciare questo nostro essere fallibili, nel monologo di una conferenza TED, la cui missione è riassunta nella formula “ideas worth spreading” (idee che val la pena siano diffuse).

Come riferisce la Schulz, fu Sant’Agostino, il filosofo berbero vissuto 1200 anni fa, ad aver capito che la nostra capacità di combinare guai non è uno dei tanti difetti imbarazzanti del sistema umano, qualcosa che si può estirpare o superare, ma è profondamente legato alla nostra identità. “Sbaglio, dunque sono”.

Non dobbiamo avere paura di sbagliare, perché facendolo diamo voce alla nostra natura di uomini imperfetti. E non dobbiamo fare altro che gioire del fatto che noi tutti siamo la generazione dal segno rosso sul compito.

 

 

 

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