Jean Darling, nome d’arte di Dorothy Jean LeVake, è stata una delle attrici bambine più note e più ricordate nella storia del cinema grazie alla serie degli anni ’20 Our Gang, tanto che le sue doti canore nel cosiddetto “cinema sonoro” e i suoi riccioli biondi erano diventati icone, erano diventati storia all’interno di quel carosello che è stato la sua carriera. La partecipazione alle Giornate del Cinema Muto di Pordenone sono state, per anni, una sua abitudine fissa, fino alla sua scomparsa il 4 settembre 2015.
È proprio il ricordo di una sua recente esibizione canora ad aprire questa edizione delle Giornate, edizione giustamente dedicata a lei per la sua “lealtà” al festival che rende Pordenone una settimana all’anno la capitale del cinema muto. Dave Robinson, curatore di tutte le edizioni del festival dal 1997, la ricorda con un filo di commozione, pensando alle varie partecipazioni della star nelle passate edizioni.
Lo stesso Dave Robinson è uno dei protagonisti di questa prima serata: critico del Times, da sempre grande amante del cinema muto, questa è l’ultima edizione del festival che vedrà il suo nome alla voce “direttore”. Presenta lui stesso al pubblico Jay Weissberg, futuro direttore e curatore delle Giornate del Cinema Muto, in passato dal 2001 assiduo frequentatore del festival e dal 2003 residente a Roma, dove ha assunto una buona conoscenza dell’ialiano. Sale poi sul palco anche il sindaco Pedrotti per consegnare a Dave Robinson il meritato sigillo della città, riconoscimento per le personalità che meritano di essere ricordate per il loro impegno nei confronti della città di Pordenone.
Iniziano quindi ufficialmente le proiezioni della prima serata. Il festival parte con Romeo und Julia im schnee, trasposizione della celeberrima opera di Shakespeare in un villaggio in Germania, opera minore del regista tedesco premio Oscar alla carriera nel 1947 Ernst Lubitsch. Considerato dai critici “Un’operina trascurabile, girata da Lubitsch con la mano sinistra”, è stato restaurato ed ora la copia del film viene presentata 95 anni dopo la prima uscita nelle sale nel 1920. Il film fu all’inizio scarsamente distribuito a favore di altre opere e fu uno degli ultimi film sviluppati come commedie da Lubitsch, prima che egli si mise a lavorare a progetti più seri e costosi e a collaborare con attori più noti.
La serata iniziale prosegue allora con la seconda proiezione in programma, il film italiano Maciste alpino, restaurato per l’occasione dal Museo Nazionale del cinema in collaborazione con la Biennale di Venezia. È poi stata presentata la copia restaurata in anteprima alla Settantunesima Mostra del Cinema di Venezia. Non ci sono parole per descrivere l’imponente figura di Bartolomeo Pagano, che impersona Maciste in tutti i film di cui questo singolare personaggio, il cui nome è entrato poi nel parlato comune, è protagonista. In questo film muto diretto da Luigi Maggi e Luigi Romano Borgognetto e ovviamente scritto da Giovanni Pastrone, creatore del personaggio di Maciste, uscito nelle sale nel 1916 durante la Grande Guerra, Maciste si arruola quasi fortuitamente tra gli alpini dopo una rocambolesca fuga dal territorio austriaco. Il film osserva con ironia la vita durante la seconda guerra mondiale e non fa sentire mai il lato violento e triste della guerra, anzi la sminuisce rendendola quasi un gioco, così come è veramente un gioco per Maciste prendere parte ad essa.

Nasce il 21 marzo 1997, a Udine. Frequenta il quarto anno del, suo malgrado, liceo classico, e nutre una grande passione per la letteratura, frutto di un’infanzia passata affianco ai libri, per i motori, per la musica ma soprattutto per il cinema, arte a cui sogna di dedicarsi a tempo pieno in futuro, come regista e sceneggiatore. Disordinato e insicuro ai limiti dell’inaffidabilità, scrive perché è convinto che quest’attività lo aiuti a capire meglio sé stesso e tutto ciò che lo circonda. Non ha alcun motto o frase ricorrente, ma pensa solo a fare del suo meglio con quello che ha.”