In una recente intervista al The Times, parlando del suo ultimo film su Napoleone Bonaparte, il regista Ridley Scott ha dichiarato:

Come tutta la storia, è stata raccontata. Napoleone muore, poi, 10 anni dopo, qualcuno scrive un libro. Poi qualcuno prende quel libro e ne scrive un altro e così, 400 anni dopo c’è molta immaginazione [nei libri di storia]. Quando ho problemi con gli storici, chiedo: “Scusi, amico, eri lì? No? Beh, allora chiudi quella cazzo di bocca.

E ancora:

Non mi sono serviti gli storici per rendere il mio Napoleone epico.

Ben inteso: Napoleon ha una fotografia spettacolare. Sebbene i luoghi non siano efficaci a richiamare quelli delle vicende reali (un paesaggio urbano maltese come scenario della Parigi di fine XVIII secolo e dell’Isola d’Elba; un’anonima villa di campagna inglese per la Malmaison; un paesaggio mediterraneo per Sant’Elena), le scene d’azione immergono pienamente lo spettatore nella trama. L’assedio di Tolone, all’inizio del film, dà la giusta carica, con vago sapore di Gladiatore.

L’epica però finisce lì. Non si estende, ad esempio, al protagonista che rimane lo stesso dall’inizio alla fine, senza evolvere. Come se il giovane Napoleone di Tolone fosse lo stesso di Waterloo: il carisma c’è ma il carattere, definito nelle prime scene, è immutabile e piatto, la faccia sempre seria, dura, impassibile. Ed è qui che la storia comincia a chiedere il suo giusto tributo.

A Napoleone sono stati dedicati oceani d’inchiostro. Della sua vita pubblica e privata si conosce praticamente ogni dettaglio: dalla sua visione politica del mondo agli amori con Giuseppina e Maria Luisa; dal Colpo di Stato del 18 Brumaio al Codice Napoleonico; dalla sua politica economica e culturale al progetto di Europa che avrebbe voluto lasciare a suo figlio…

Realizzare un film su questa figura è problematico già nell’idea. Non tanto per la sua varietà interpretativa, quanto per il peso che essa effettivamente ebbe nella storia e nella cultura europea e per le innumerevoli vicende che lo videro protagonista al di là delle sue battaglie.

In altri termini: una volta imbarcati nella sua rappresentazione, non è possibile liquidarlo con semplicità. Il ritratto di Scott di Napoleone è quello di un uomo rigido, gelido calcolatore e amante aggressivo. Un uomo per nulla empatico, molto impulsivo, volgare e del tutto concentrato nel suo rapporto con Giuseppina, che sembra essere da lui più maltrattata che amata. La quale a sua volta, interpretata da Vanessa Kirby (quattordici anni più giovane di Joaquin Phoenix quando la vera Giuseppina era più vecchia di Napoleone di sei anni), sembra essere il vero motore del film, con Napoleone che le orbita attorno.

Una raffigurazione che richiama la propaganda denigratoria inglese della sua epoca, ben lontana dall’esaurire il profilo del Napoleone storico. Di qui, il film presenta un’accuratezza storica limitata alla sola cronologia delle vicende e al nome dei personaggi.

Tutti gli eventi narrati non rispecchiano la realtà dei fatti e sono interpretati con molta fantasia.

Si può fare cenno alla battaglia di Austerlitz: nel film avviene in una vallata innevata al cui centro c’è un enorme e profondo lago ghiacciato coperto dalla neve. Al di là della discutibile ricostruzione del combattimento, la vittoria è data dallo sprofondare dell’intera armata austro-russa nelle sue acque gelide. Eccettuata la coerenza (verrebbe da chiedersi se le truppe nemiche non avessero cartine che segnassero il lago) o il dettaglio di come si svolse, Austerlitz fu combattuta su un altopiano che presentava stagni e laghetti ghiacciati poco profondi, la cui posizione non era centrale ma chiudeva il campo di battaglia.

Si può fare cenno al ritorno di Napoleone dall’Egitto e dall’Elba, presentati come motivati dalla volontà di rivedere Giuseppina, scoprendo nel secondo caso, una volta tornato in Francia, che lei era nel frattempo morta. Anche qui la realtà era ben diversa: se Napoleone tornò indietro dall’Egitto, lo fece perché la campagna militare si era arenata non potendo più mantenere il controllo sul territorio a causa di epidemie e continui assalti mamelucchi. Un rientro, tra l’altro, fortunoso dato il dominio del Mediterraneo da parte della flotta inglese. Nel caso del ritorno dall’Elba, Giuseppina morì il 29 maggio 1814, quando Napoleone si trovava nel suo primo esilio da soli 26 giorni. Egli verrà a sapere della scomparsa della sua ex-moglie in quei mesi proprio sull’isola da cui fuggì molto più tardi e per altri motivi (il malcontento dei francesi per il ritorno della monarchia) il 26 febbraio del 1815. Soltanto il 12 aprile si recò alla Malmaison per rendere omaggio alla sua tomba.

Si può fare cenno al fatto che il film non spieghi perché, data la pace di Tilsit del 1807 in cui Napoleone fraternizza calorosamente con lo Zar Alessandro, quest’ultimo a un certo punto lo tradisca. La blanda motivazione data è la violazione del blocco continentale da parte russa (blocco di cui si era fatto solo un breve cenno). Anche qui la realtà era ben più articolata e riguardava una serie di attriti accumulati nel corso degli anni che separavano Tilsit dalla Campagna di Russia a partire dall’impegno di Napoleone e di metà del suo esercito in Spagna. Se non era possibile riproporlo sommariamente nella pellicola o quantomeno citarlo, la mancanza di questo evento, fondamentale dell’epopea napoleonica, e di altri eventi consequenziali, genera un importante buco di trama.

Un po’ come con la marcia verso Parigi nei 100 giorni che nel film vede i francesi accorrere nuovamente tra le fila delle sue armate. Allo spettatore che nulla conosce di Napoleone, data l’assenza totale nel film del personaggio riformatore politico e sociale, non è dato sapere perché l’esercito inviatogli contro da Luigi XVIII si unisca a lui senza sparare un colpo. A maggior ragione se alla fine del film viene riportato il dato negativo dei 3milioni di morti causati dalle sue guerre, oscuranti i suoi più grandi traguardi sociali e civili.

Citati questi sommari esempi, se ne potrebbero fare molti altri di ogni ordine e grado, macroscopico e microscopico. Ad esempio: non è Tolone che rende Napoleone popolare in Francia ma la Campagna d’Italia in cui con, un’armata male equipaggiata, egli riuscì a vincere l’intera guerra contro la Prima coalizione antifrancese, a mala pena citata nel film. Proseguendo, Napoleone non prese a cannonate le Piramidi: la famosa Battaglia avvenne diverse decine di miglia di distanza, tanto che le tombe dei faraoni erano presenti sullo sfondo, in lontananza. O ancora, a Waterloo sarebbe stato impossibile vederlo sguainare la spada in testa alla carica di cavalleria contro le linee inglesi.

A queste e altre plateali inesattezze (se non autentiche falsità storiche) che connotano tutta la pellicola dall’inizio alla fine si potrebbe obiettare che il regista abbia voluto dare una sua personale interpretazione del personaggio e della sua vicenda. In fondo, si sente ripetere, non è un documentario. Un po’ come ne Il Gladiatore, film godibilissimo e coinvolgente ma che di storico ha solo il nome di Marco Aurelio e Commodo.

Anche se si prenda quest’ultimo come esempio o giustificazione della scelta, va comunque considerato che la storia antica goda di meno dettagli rispetto a quella moderna e contemporanea, derivati dalla minor disponibilità di fonti e dalla maggior distanza in termini di tempo. Pertanto la licenza creativa può essere espressa senza troppe difficoltà se non si pretende di raccontare la verità dei fatti: Massimo Decimo Meridio non è mai esistito, come Commodo non ha mai ucciso Marco Aurelio e non è mai morto nel Colosseo.

Ridley Scott, già allora, pretese di raccontare la Roma antica in una chiave nuova ma mai esistita nella realtà. Come affermava lo storico Allen Ward,

agli artisti creativi deve essere concessa una licenza poetica, ma ciò non dovrebbe essere un permesso per il totale disprezzo dei fatti storici della fiction.

La finzione non può essere accettata in un film, quale Napoléon, che si richiama costantemente a uomini, fatti e date e che sembra avanzare una seria interpretazione delle vicende. Interpretazione, a lato delle inesattezze, comunque viziata dalla prospettiva storica inglese del regista, che dipinge Napoleone come il male incarnato, un Hitler ante-litteram a cui spetta alla Gran Bretagna porre freno. Nulla c’è del Napoleone riformatore, legislatore, politico, diffusore dei principi della Rivoluzione francese a cui l’Europa deve moltissimo.

Ci sono registi che per amor della narrazione coerente, realizzano piccole e semi-sconosciute opere d’arte che di licenza creativa e libertà interpretativa hanno molto poco e che, in termini di costruzione del personaggio, danno un quadro il più possibile completo ed esauriente. È il caso del canadese Yves Simoneau e la sua miniserie televisiva di 4 episodi Napoleon, realizzata nel 2002: una produzione europea con un cast comprendente nomi come John Malkovich, Gerard Depardieu, Isabella Rossellini e Claudio Amendola, che ripropone quasi fedelmente le fasi più importanti della vicenda di Napoleone. Tratta dai libri di Max Gallo, la si può vedere su YouTube.

A confronto, Napoleon di Ridley Scott è un film di fantasia storica per un pubblico decisamente non europeo e anglofono che si concentra più sul tema amore-guerra che non sul trasmettere efficacemente l’immagine di una figura complessa e poliedrica. Per noi continentali resta un film per un annoiato pomeriggio domenicale, utile a tenere compagnia sullo sfondo mentre si gioca con lo smartphone distesi sul divano.

Del resto, i critici francesi lo hanno definito un “Ken e Barbie sotto l’Impero”. Ai posteri l’ardua sentenza? Non credo sia tanto ardua.