A cent’anni di distanza, la storiografia affronta la Grande Guerra scegliendo una formula neutrale rispetto a moventi e scopi politici, mettendo d’accordo sia storici che istituzioni locali.

Vi fu, infatti, un mito postumo della Grande Guerra nel periodo compreso tra la sua fine e l’inizio del secondo conflitto mondiale. Molto più tardi, effetto soprattutto della rottura culturale politica e generazionale rappresentata dal ’68, prese corpo invece una sorta di anti -mito che dura ancora.

Così esperienze che prima venivano raccontate prevalentemente nella microeditoria locale, ora invece vengono raccontare anche a livello nazionale, partendo dai luoghi della memoria.

Un sicuro rappresentante della cultura della nostra regione è sempre stato l’editore librario Giorgio Ossola, fondatore della Libreria Editrice Goriziana (LEG) a Gorizia nel 1983.

Oggi la casa viene gestita dal signor Giorgio assieme al figlio Adriano Ossola, il quale dal 2005 è ideatore e curatore del festival internazionale èStoria, definito da Paolo Mieli «Il più importante d’Italia».

 

Buongiorno Sig. Ossola, come nacque il suo interesse per la Prima Guerra Mondiale e in che modo decise quindi di trattarla all’interno della LEG?

Circa 40 anni fa, iniziai un’attività di compravendita di libri usati: mi capitò in mano un libro di Alice Schalek, una giornalista austriaca. Il libro era un dettagliato reportage sulla situazione del fronte isontino dal punto di vista austriaco. Lo lessi attentamente e mi piacque molto, soprattutto perché per me era una voce nuova. Proprio in quegli anni, poi, c’era stato un revival di testi italiani sulla Grande Guerra: ricordo Isonzo 1917 di Silvestri e Caporetto di Gatti. Questa invece era una voce diversa.

Feci quindi tradurre questo libro: avevo iniziato solo da qualche anno l’attività editoriale, ma capii che questo era uno dei primi testi importanti, perché era una testimonianza sul conflitto visto da parte, diciamo, del “nemico” austroungarico. Anche se in realtà non era un “nemico”, perché Alice Schalek era qui a casa sua, a Gorizia.

Ebbi una buona traduzione fatta da Renato Ferrari, autore de Il gelso dei Fabiani e poi ebbi anche l’intuizione di chiedere a Mario Silvestri di scrivermi l’introduzione. Silvestri, autore allora in auge proprio per il suo libro Isonzo 1917, fece infatti un vero e proprio studio sulla Grande Guerra riguardo al fronte isontino. Il libro andò benissimo: ebbe una buona vendita e una buona accoglienza da parte del pubblico. Per me iniziò così, quel filone di editoria storica.

Questo volume continua ad avere tutt’ora successo, tanto che lo teniamo in catalogo da quarant’anni e proprio qualche mese fa, in una sua ripetuta edizione, l’ho edito di nuovo assieme a delle tavole molte belle, a colori. Sono tavole di un ufficiale austriaco che fu presente qui a Gorizia negli stessi settori di Alice Schalek e compì praticamente lo stesso itinerario: basso Isonzo, Carso e infine medio – alto Isonzo.

C’è da dire infine, che il testo, naturalmente austriaco, non è però di “parte”.
 Cerchiamo infatti sempre testi seri, obiettivi, non velati da ideologie o altro. E a proposito di immagini, anche ad esse abbiamo sempre riservato un accurato lavoro filologico.

 

Ci parli riguardo a La Grande Guerra sul fronte dell’Isonzo di Antonio Sema: è un’opera pubblicata dalla LEG, alla quale Lei stesso ha dato un grande contributo durante la stesura.

È una grande opera, molto importante. Antonio Sema è una delle figure a noi più care per molti motivi, anche di amicizia.

Sema ha scritto un testo formidabile: sebbene abbia oltre vent’anni, lo teniamo sempre in catalogo proprio per il suo valore. È un libro che rappresenta la nostra linea: racconta tutti e due i punti di vista, italiano e austriaco. Sema, attraverso i documenti poi, racconta anche del controspionaggio dei due contendenti.

Ma soprattutto c’è da dire che Sema formulò una tesi che prima non fu mai presa in considerazione: scrisse che l’Austria per difendere queste terre, posizionò reggimenti slavi perché difendessero il loro territorio, cioè la loro casa. Ora può sembrare normale dirlo, ma prima nessuno lo aveva mai scritto. Lui è stato il primo.

Quest’opera ci ha portato via alcuni anni, tanto che è uscita in tre tomi e ci fu molto lavoro in comune.

 

Parlando sempre de La Grande Guerra sul fronte dell’Isonzo, che tipo di operazioni Lei e Sema avete fatto per la battaglia di Caporetto?

Visionai il Museo Bavarese su un fondo germanico e poi, per avere una controparte, perché io lavoro con questo criterio, visionai tutto l’archivio del Museo del Risorgimento di Milano e soprattutto l’archivio privato dell’ingegnere Orsini di Sasso Marconi nella provincia di Bologna.

Con tutto questo grande materiale, io e Sema ci dovemmo vedere svariate volte per poter dare un equilibrio anche al racconto fotografico parallelo al libro: creammo così un testo che a distanza di anni, è ancora assolutamente attuale.

 

Quali altre opere caratterizzano la vostra linea editoriale?

Grazie a Sema, che ci segnalò questo testo importante, abbiamo avuto la fortuna di tradurre dall’inglese Isonzo. Il massacro dimenticato della grande guerra di Schindler. Anche questo testo è molto importante, perché guarda con pari interesse sia alla parte austriaca che a quella italiana. Quest’opera ha veramente entusiasmato i collezionisti, gli studiosi ma anche solo i lettori interessati alla Storia militare della Grande Guerra. Anche per questo testo, inoltre, abbiamo fatto delle raccolte di fotografie, sempre bipartisan.

Pensammo poi anche a qualche testo da parte italiana e così divulgammo un’opera che altrimenti sarebbe rimasta dimenticata: recuperammo un testo uscito da Feltrinelli, anche se non è una casa specializzata in Storia militare.

Feltrinelli pubblicò in edizione economica un testo validissimo di Giorgio Rochat, storico importante di Storia militare italiana, soprattutto del ‘900. Il testo in questione era Gli arditi della Grande Guerra. Origini, miti e battaglie, arditi che nacquero proprio a due passi da qui, a Capriva, nel luglio del 1917 e che qualche giorno dopo trovarono un centro di addestramento a Sdricca di Manzano. Questo è un testo che ci ha gratificato molto, tanto che lo abbiamo pubblicato varie volte in edizioni economiche.

Abbiamo preso anche l’opera di Rommel, Fanteria all’attacco. Dal fronte occidentale a Caporetto – altra grande soddisfazione – e due testi di Rothenberg e di Deák sull’organizzazione degli ufficiali austroungarici.

Ricordo ancora un’opera importante sulla marina austriaca di Sokol, La guerra marittima dell’Austria – Ungheria 1914 -1918, opera in quattro volumi. Pensi che Sokol, che fu ufficiale di marina, scrisse questo suo capolavoro negli anni successivi alla guerra e per documentarsi ebbe il privilegio, da ex nemico, di accedere agli archivi dell’Ufficio storico della Marina Italiana, grazie alla sua onesta personalità.

È successa poi, una cosa strana: i due alti ufficiali della marina italiana che visionarono il lavoro oltremodo serio di Sokol, un ex nemico, diedero parere favorevole che l’opera venisse tradotta dallo Stato Maggiore prima ancora che uscisse qualche anno dopo a Vienna in lingua tedesca.

 

Avete edito anche libri scritti da giornalisti italiani che vissero durante la Grande Guerra?

Sì, in particolare voglio ricordare l’opera di Luigi Albertini, direttore del Corriere della Sera, che negli anni del suo ritiro dall’attività giornalistica, scrisse un’opera monumentale che poi fu tradotta anche in inglese: Le origini della guerra del 1914, duemila pagine, edite a Milano nel 1944. Opera che pochi avevano letto.

E noi abbiamo avuto il coraggio di editarla: una casa editrice piccola come la nostra, di confine, dove si deve arrivare a Gorizia proprio per venirci, bisogna arrivarci di proposito, così lontano da tutti. Stampare poi un’opera di quel impegno economico non è stata un’opera semplice, quindi per noi è un vanto.

 

Come definisce la sua casa editrice e il vostro successo?

Essendo una casa editrice piccola possiamo permetterci di pubblicare cose che la grande non fa, come argomenti locali. Ma anche aver trattato da sempre nuove tematiche, nuove voci e punti di vista, ci ha indubbiamente favorito. Due esempi su tutti: i libri sugli ebrei e sui bosniaci dell’esercito austriaco, essendo proprio qui vicino luoghi come il Dosso del Bosniaco a Oslavia.

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