Tra le date del secolo scorso, quella dell’8 settembre 1943 ha segnato in modo particolare la nostra Nazione: la resa agli angloamericani firmata a Cassibile solo cinque giorni prima aveva dimostrato la debolezza non solo del comando delle forze armate ma anche di chi doveva rappresentare l’Italia in sé. La fuga di re Vittorio Emanuele III fu un evento traumatico: con lui, oltre all’immagine nazionale, l’intera struttura amministrativa e di comando dello Stato crollava a pezzi, salvo restare integra nel Regno del Sud. La dimostrazione fu un ordine ambiguo, simbolo stesso della paura e dell’indecisione ai vertici:

“[…] ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza.”

I soldati del Regio esercito, stanziati in Grecia, Albania, Jugoslavia e nel resto d’Italia non ricevettero altri ordini. Cosa si sarebbe dovuto fare quindi con i tedeschi? Erano da considerarsi nemici o ancora alleati? Il dubbio era grande, come pure le incertezze; molti non sapevano nemmeno cosa fosse successo. Divertente, ma altrettanto carica di verità, è la scena in cui Alberto Sordi nel film Tutti a casa chiama l’alto comando: “Signor colonnello! Tenente Innocenzi, accade qualcosa di incredibile: i tedeschi si sono alleati con gli americani! […] Cerchi di comprendere, Signor colonnello, io ero all’oscuro di tutto: quali sono gli ordini?

Iniziava quindi, con l’invasione dell’Italia da parte dell’esercito tedesco, il capitolo della Resistenza. E c’è una cosa curiosa: il primo proiettile che avviò quest’ultima fase della guerra fu sparato non al Brennero ma in Friuli, più precisamente a Tarvisio. In quei giorni, nella cittadina era presente un piccolo presidio, simbolico, di trecento guardie di frontiera (GaF) alloggiato presso la caserma Italia: piccolo e simbolico perché allora era considerato un confine tra alleati, e non era certo necessario munirlo. Non c’erano nemmeno le artiglierie, ritenute ben più utili in Jugoslavia che non sulla frontiera alleata.

Poco oltre il confine, nella piana di Arnoldstein, erano acquartierate delle divisioni tedesche in assetto da guerra. Inoltre dal 25 luglio era presente ad Ugovizza, in Val Canale, un reggimento di Waffen SS. Nello stesso giorno e mese, infatti, Mussolini era stato costretto alle dimissioni e arrestato, il che aveva fatto drizzare le orecchie ai tedeschi in merito a un possibile tradimento da parte dell’Italia in qualunque momento, cosa che poi, come sappiamo, avvenne.

8 settembre 1943, ore 19:43: dalla radio il capo del governo Pietro Badoglio avvisa dell’armistizio con gli angloamericani. La notizia è un fulmine a ciel sereno per la guardia di frontiera tarvisiana. I tedeschi, prontamente, inviano un ultimatum agli italiani presenti, intimando loro di deporre le armi e arrendersi, ma il colonnello Giovanni Jon, nonostante sia conscio dell’evidente disparità, lo respinge ordinando di preparare la difesa della caserma, che in breve viene circondata.

La resistenza è qualcosa di disperato: tutti i soldati italiani sanno che non potranno resistere per molto, nonostante ciò sono pronti a dare la vita per non finire in mano al nemico. I tedeschi per isolarli prendono d’assalto il centralino, difeso da alcuni fucilieri. Mentre la battaglia infuria sotto i colpi dell’artiglieria germanica, al suo interno la centralinista tarvisiana Luigia Picech resta in posizione nel tentativo di mantenere attivi i collegamenti con la caserma. Questo atto di eroismo le varrà poi la medaglia d’argento alla Resistenza; sarà inoltre la prima donna ad aver ricevuto tale onorificenza.

In poco tempo, tutti i fucilieri vengono uccisi. Luigia ora deve dare il tutto e per tutto: impugnata una pistola, presa da un soldato mortole affianco, la ragazza riesce a mettersi in salvo mentre il centralino viene raso al suolo. Intanto la situazione alla caserma si fa sempre più critica: isolata dal resto del mondo, è solo questione di tempo prima che i tedeschi prevalgano. La battaglia però prosegue per tutta la notte, con i soldati italiani che perseverano incessantemente a resistere. Nonostante il grande coraggio, alle 9:00 il colonnello Jon, ormai conscio dell’impossibilità a continuare l’impari lotta, avendo esaurito tutte le munizioni, ordina di cessare il fuoco e innalza un drappo bianco in segno di resa.

La battaglia finì così. Il primo fuoco della resistenza italiana era costato 180 feriti e 25 morti, mentre i tedeschi contavano circa 80 caduti. Da questo e altri eventi, la fase resistenziale ebbe modo di nascere e rinvigorirsi: a combattere contro i nazi-fascisti non sarebbero stati solo i cittadini-partigiani ma anche tutti quei soldati che l’8 settembre rifiutarono la resa. Molti episodi di questa resistenza da parte dell’esercito sono ricordati come un simbolo di coraggio e dedizione alla Patria: tra loro c’è pure Tarvisio.

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