Interessantissimo incontro oggi a Grado Giallo con Lavinia Benedetti e Maurizio Gatti che ci hanno trasportato nel mondo orientale in un excursus storico sull’evoluzione, la concezione e le caratteristiche del giallo nella cultura orientale.

La professoressa Benedetti ha nutrito il pubblico presente in sala con interessantissimi dati e dettagli su come il crimine e il processo giudiziario sia nato e cambiato nelle diverse ere del mondo orientale, in particolare in Cina, contestualizzando molto bene l’argomento.

Raccontare il crimine in Cina significa narrarlo dal punto di vista della trattazione del tribunale: i fatti vengono narrati da dentro, ponendo la figura del magistrato in primo piano.
Un vero e proprio funzionario che rappresentava, a livello locale, non solo l’imperatore ma che era anche responsabile di tutto ciò che riguardava la vita degli abitanti del distretto che presiedeva. Proprio grazie a questa sua polifunzionalità il magistrato – chiamato appunto “funzionario padre-madre” (fùmŭ guān) – è stata sempre una figura onorata e venerata dalla letteratura storica e di intrattenimento orientale, creando un genere puramente protonarrativo.

L’ufficio distrettuale, lo yamen, era un luogo molto importante, il centro del processo giudiziario: esso infatti comprendeva al suo interno l’ufficio del magistrato, il tribunale e la prigione. Il magistrato si trovava in una posizione di estrema superiorità, su un piedistallo, in forte contrasto con gli altri e soprattutto con gli interrogati, posizionati sulla nuda pietra, in piena sottomissione psicologica, come si evince da un’illustrazione proposta dalla Benedetti.
L’ambiente del tribunale, aggiunge, era molto ostico; una volta suonato il gong, il magistrato accettava il caso occupandosene a tutto tondo, fornendo un report finale da consegnare ai funzionari che decidevano la pena da infliggere.
Il sistema di quel tempo richiedeva una confessione del colpevole, solo dopo questa il caso si sarebbe risolto: erano ammessi infatti svariati tipi di tortura.

Questo ideale di magistrato come ordinatore cosmico e la cultura del sistema giudiziario che ne deriva, producono un’offerta letteraria e un genere di particolare unicità: anche grazie al docente ed editore Maurizio Gatti, il confronto tra il giallo occidentale e quello orientale ha mostrato interessanti differenze stilistiche e non solo.

Nella narrativa di crimine cinese gli elementi soprannaturali sono quasi una costante, soprattutto per la mancanza di strumentazione scientifica. Molti funzionari, conoscitori della lingua classica e scrittori di queste storie, erano inoltre buddisti. Per questo il cielo assume un ruolo fondamentale, vi sono dei segni che determinano la presenza di innocenza e di ingiustizia.
Al contrario del genere italiano, incentrato sulla suspance e sul metodo deduttivo, quello orientale si concentra sulla presenza del sovrannaturale e sull’abilità del detective a incastrare il colpevole, anticipando già al lettore la sua identità e la dinamica del crimine.

Un importante e concreto incontro tra questi due modi di fare letteratura criminale avviene grazie al neerlandese Robert Van Gulik che, traducendo una di queste opere in inglese, introduce nel genere personaggi storici reali, ambientazione temporale precisa e descrizioni ambientali contemporanee, occidentalizzandolo.

Stessa cosa che viene fatta ora in oriente con le opere moderno-contemporanee di carattere giallo: vengono orientalizzate mantenendo comunque un sapore occidentale come la avventure di Scherlock Holmes a cui tutto il mondo ne è ormai affezionato.

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