La storia del cinema muto la conosciamo tutti bene. E anche se non la doveste sapere, immaginarla non è difficile: prendete una videocamera ante litteram, della cellulosa fotosensibile e il gioco è praticamente fatto. Per i dettagli tecnici Wikipedia è più che esaustiva. Ma le conoscenze tecniche non sono delle note dispensatrice di felicità. Eppure la rappresentazione artistica oltre la tecnica lo è.

Facciamo un salto temporale e partiamo dagli albori del cinema, cioè a cavallo tra ottocento novecento, cioè quando la luce cominciava per la prima volta a illuminare dei teli bianchi. Stando a Internet, una volta Tomas Edison (che morì proprio quando il cinema muto perdeva il suo aggettivo per cambiarlo con sonoro) disse “Il cinema sonoro non soppianterà mai il cinema muto“. Ma non siamo qui ad alimentare le speranze di un inventore statunitense, quanto a dire che, dopotutto, non aveva tutti i torti.

Cerchiamo nella Treccani il significato di soppiantare: subentrare a qualcuno in una situazione […] per lo più con l’inganno. Ma nel cinema non c’è inganno, ma evoluzione. Questo perché, come già detto, dietro al prodotto finito (il film in questo caso) esiste un apparato tecnico inevitabilmente e incessantemente destinato ad evolvere. Ma questa è proprio la chiave di volta per guardare il cinema muto e vivere felici (o provarci almeno!).

Nel decorso del suo arco temporale relativamente breve, il cinema muto ha assunto delle caratteristiche uniche e fondamentali che rendono il cinema muto, il cinema muto. Tra le tante, la caratterstica che trovo più affascinante è la sua realtà. E sono sicuro che sarete d’accordo.

Non esistevano gli stuntman, non c’erano effetti speciali, non come li intendiamo noi almeno. Quello che si vede nelle pellicole, in un modo o nell’altro, è successo. Non senza i trucchi del mestiere, certo, ma questi erano frutto di ingegno, spontaneità, creatività e allenamento. Un attore del cinema muto non era solo un attore. Era anche un acrobata, un regista di sé stesso, un atleta e (nel momento del cambiamento verso il suono) persino un doppiatore.

Pensate che i famosi Stanlio e Ollio, i cui filmati sono ancora oggi tranquillamente fruibili e sembrano avere ben poco a che fare con altre pizze (s’intendono i “rotoli” di fotogrammi, non la noia) più impegnative, doppiavano da sé in italiano le loro produzioni. È per questo che le loro voci hanno un accento rimarchevolmente inglese: perché era vero, non c’era nessun intento scherzoso. All’inzio perlomeno. Ma questo è già un momento storico diverso.

Ciò che è importante, è che quando guardiamo il cinema muto, osserviamo un’opera d’arte non solo visiva, ma un insieme di caratteristiche uniche che ci spingono a immaginare come le scene siano state realizzate (alcuno hanno dell’incredibile). E l’immaginazione, quella si, rende indiscutibilmente felici.

 

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