Era un umile pastore nato in Tracia nel 173 d.C., probabilmente di stirpe gota, privo della cittadinanza romana. Fu il primo nato barbaro ad assurgere al trono imperiale, senza nemmeno ricoprire la carica senatoria. Stiamo parlando di Caio Giulio Vero Massimino, detto il Trace. Un militare straordinario, dall’alto dei suoi 2.40 metri d’altezza troneggiava sui compagni d’arme, dapprima tra le truppe ausiliarie, poi nei ranghi dell’esercito regolare. Così lo definisce l’Historia Augusta:
«Era infatti imponente nella corporatura per la grande prestanza, famoso per il suo valore tra tutti i suoi commilitoni, bello e virile, fiero nel suo comportamento, duro, superbo, notevole ed allo stesso tempo giusto.»
Insomma, un ercole che deve alla sua prestanza fisica e alla carriera militare il suo successo. Nell’inverno del 234 d.C. venne nominato comandante delle armate sul confine renano, divenendo luogotenente dell’imperatore Alessandro Severo che, dal suo accampamento a Mongontiacum, si apprestava a muovere guerra contro gli Alemanni. Ma le legioni dell’imperatore erano composte prevalentemente da soldati di origine pannonica o mesica, inevitabilmente fedeli a Massimino. Forte dell’appoggio militare e dello scarso consenso di cui Alessandro godeva presso le truppe, posto a capo di una congiura per assassinarlo, Massimino venne elevato alla porpora imperiale, acclamato dalle legioni. Era il febbraio del 235 d.C.
Da questo momento Massimino sarà impegnato in logoranti campagne militari per consolidare il proprio potere, a tal punto che non metterà mai piede a Roma. Pur di assicurarsi la fedeltà di chi aveva sostenuto la sua ascesa al trono, è costretto ad elargire continui donativi alle legioni, prosciugando la casse imperiali. Sviluppi, questi ultimi, che il senato non può tollerare. La rivolta del governatore della provincia d’Africa, Gordiano I, diviene il pretesto per opporsi apertamente all’usurpatore barbaro. Ma Massimino poteva contare su abili generali a lui fedeli: in meno di un anno Capelliano, comandante delle legioni numidiche, sedò la rivolta, lasciando il senato isolato. Ormai compromessa, l’aristocrazia romana decise di portare comunque avanti la guerra civile in atto. Nell’aprile del 238 d.C. i senatori Pupieno e Balbino vennero eletti co-imperatori con il titolo di augusti, il nipote di Gordiano I venne nominato cesare. Massimino, impegnato in Germania, decise di marciare contro l’Urbe alla testa delle legioni pannoniche, con l’appoggio di contingenti Galli, cavalieri Mauri e ausiliari germanici. Passò le Alpi senza incontrare alcuna opposizione: Pupieno e Balbino avevano adottato la tattica della “terra bruciata”, privando Massimino degli approvvigionamenti necessari. Era maggio quando l’avanguardia del Trace giunse in vista di Aquileia. La difesa della città era stata affidata ai senatori Rutilio Prudente Crispino e Tullio Menofilo, che rinforzarono le mura cittadine con nuovi torrioni. Aquileia chiuse le porte all’imperatore, schierandosi dalla parte del senato, decisa a resistere usque ad finem.
Il primo assalto alla città, mosso dall’avanguardia pannonica, venne respinto con vigore, suscitando le ire di Massimino e l’errore tattico che gli costò la vita. Deciso a non perdere il primo scontro in territorio italico, arrestò la sua marcia verso Roma e pose personalmente Aquileia sotto assedio. Ma fin da subito le operazioni militari vennero ostacolate dalla piena del fiume Isonzo, ingrossato da una primavera piuttosto calda, che aveva causato un notevole scioglimento dei ghiacciai a monte. La mancanza di viveri, di cui Aquileia aveva fatto scorta, infiammò il malcontento tra le truppe. A ciò si aggiunse l’arrivo di Pupieno alla testa di giovani coscritti, che stabilì il proprio accampamento a Ravenna. La rapida avanzata di Massimino era stata arginata, vincere ad Aquileia diveniva fondamentale. Massimino fece demolire tutti gli edifici dei sobborghi fuori dalle mura della città: con il legno ricavato vennero costruite le macchine d’assedio. Il Trace stesso e il figlio Gaio Giulio Vero Massimo si schierarono in prima linea, sotto le mura nemiche, per incitare gli uomini all’assalto. Ma Crispino aveva approntato una difesa formidabile: gli aquileiesi rovesciarono bitume, zolfo e oggetti infuocati sugli assedianti. Ecco come l’Historia Augusta descrive la scena:
«Molti soldati si vedevano privati delle armi, altri si trovavano con gli indumenti incendiati, altri erano accecati dal fumo, e molte macchine d’assedio furono distrutte.»
Massimino, incapace di tollerare una simile sconfitta, mise a morte i suoi generali. Fu il suo ultimo atto da imperatore. I soldati della Legio II Parthica, approfittando di un momento di pausa dei combattimenti, uccisero Massimino e suo figlio. Era il 10 maggio 238 d.C., sotto le mura di Aquileia. Il senato elesse imperatore il nipote di Gordiano e venne votata la damnatio memoriae per Massimino, l’usurpatore. Ad Aquileia e in tutto l’impero le statue e le iscrizioni recanti il suo nome vennero orrendamente mutilate, affinché nessuna traccia potesse restare di lui nei secoli a venire.
Immagine da: Fondazione Aquileia
Nato a Chioggia il 23 dicembre 1996. Veneto di nascita, con radici istriane, udinese d’adozione. Studia Storia presso la Scuola Superiore dell’Università degli Studi di Udine. Acerrimo nemico dell’indifferenza e terribilmente curioso, assetato di conoscenza, inguaribile ottimista. Alla continua ricerca di qualcosa di cui meravigliarsi. Ama i dipinti di Monet e le poesie di Mario Luzi. Scrive per esplorare, perché non sa farne a meno.
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