Ogni paese ha la musica che si merita. Un paese di merda merita musica di merda.

Daniele Biacchessi

Giornalista, regista ed autore teatrale, conduttore televisivo e radiofonico. Daniele Biacchessi non si è mai posto problemi a scrivere e parlare di temi notoriamente scomodi e difficili. Gli argomenti delle sue inchieste e dei suoi spettacoli spaziano dalla resistenza alla stragi neofasciste, ma da sempre coltiva la passione per la musica, che lo ha portato a collaborare con diversi artisti e riviste specializzate.

Storie di rock italiano – Dal boom dei consumi alla crisi economica internazionale coniuga questa sua doppia anima professionale, attraverso una narrazione in qualche modo alternativa degli ultimi sessant’anni di musica italiana, che finisce inevitabilmente per legarsi a doppio filo alle vicende sociali, economiche e politiche del nostro Paese. A dialogare assieme a lui a Pordenonelegge, il giornalista, scrittore e musicofilo friulano Andrea Ioime.

Dal confronto tra i due emerge un ritratto desolante ma terribilmente veritiero sul livello attuale della musica italiana, precipitata nel baratro ormai da anni. Più che di un declino è però meglio parlare di un apatico immobilismo, di un testardo rifiuto al cambiamento che si è manifestato soprattutto negli ultimi due decenni. Come fa notare Ioime, l’eredità musicale degli ultimi 25 anni è pressoché nulla, limitata a qualche sporadico fenomeno in ambito rock e rap degli anni Novanta.

La memoria di Biacchessi fa spesso riferimento agli anni Sessanta e Settanta, periodo in cui i successi dei Beatles, dei Rolling Stones, dei Pink Floyd dominavano le classifiche Billboard, mentre in Italia faticavano ad entrare nella top 100. Parimenti il giornalista milanese evidenzia l’oblio caduto sulle decine di eccellenti gruppi e artisti dell’ondata progressive-rock nostrana, che all’estero sono invece ancora oggi grandemente considerati.

D’altronde, sostiene Biacchessi, la musica italiana ha sempre viaggiato su un binario doppio: se da una parte i cambiamenti sono arrivati in corrispondenza delle diverse fasi politiche (gli anni Settanta sotto il segno della Sinistra, seguiti dal riflusso degli anni Ottanta), dall’altra il Festival di Sanremo ha sempre costituito un mondo a sé, una bolla immutabile mai toccata dalle trasformazioni del mercato.

Trasformazioni peraltro mai capite dalle case discografiche nostrane,  che di conseguenza non sono mai riuscite a produrre un mercato di massa competitivo, influenzando anche la mancata nascita di un critica musicale generalista. La situazione odierna, dove regna la specializzazione in generi sempre più di nicchia contrapposta all’ignoranza e l’apprezzamento dei talent-show, ostacola una conoscenza universale della musica e purtroppo non sembra annunciare una rinascita più che necessaria.

Per sperare in un rinnovamento non resta che sostenere gli artisti talentuosi, e continuare ad ascoltare quei capolavori senza tempo da cui non si smette mai d’imparare.

Photo by: Mattias Gerometta