“Io sono responsabile per quello che dico, non per quello che capisci tu!”: quanti di noi, durante un litigio o in seguito a un malinteso, si sono sentiti rivolgere una frase simile? Probabilmente molti, se non quasi tutti. La comunicazione, per la sua stessa natura di scambio multilaterale, trova spesso in se stessa gli ostacoli che le impediscono di essere sana, costruttiva, proficua. Quando parliamo agli altri siamo continuamente costretti ad una scelta: parlare per noi stessi, cercando di far valere il più possibile le nostre ragioni, oppure fare lo sforzo di riconoscere il peso delle parole che pronunciamo?

E’ da una riflessione comune come questa che Eugenio Borgna, psichiatra, trae spunto nel suo ultimo lavoro, intitolato appunto Responsabilità e speranza. Cercando di andare oltre la tradizionale concezione di “responsabilità”, Borgna ne dà la definizione più semplice e – al tempo stesso – più carica di significato: responsabilità è saper (e voler) prevedere quale risonanza possano avere negli altri i nostri gesti, i nostri comportamenti, i nostri volti. L’irresponsabilità non è sempre evidente, eclatante, clamorosa: si annida nei dettagli, nell’incomunicabilità, nella mancanza di empatia, nella pigrizia del non volersi guardare dentro per poter guardare meglio anche fuori. “A seconda delle parole che usiamo, il mondo in cui viviamo cambia completamente fisionomia”: se la parola ha davvero il potere di cambiare il mondo, è giusto riconoscere – una volta per tutte – il suo valore come cura, ma anche l’immenso danno che può causare se usata con leggerezza, senza la giusta consapevolezza.

Il dialogo, la comunicazione con gli altri (anche non verbale) implica il dover essere continuamente responsabili: prima di tutto verso gli altri, ma anche verso se stessi. Fin dalla nascita viviamo nell’obbligo di dover sempre rispondere di qualcosa a qualcuno, la compresenza fisica implica immediatamente la necessità di comunicare. Borgna ci fa notare come ogni errore umano “non sia che disattenzione; e chiedere a un uomo di non distrarsi mai è chiedergli qualcosa di molto prossimo alla santità”. Sbagliare è giusto e concesso, ma oggi più che mai l’appello di Borgna alla responsabilità appare necessario: in un mondo in cui la comunicazione si fa sempre più rarefatta, e nuovi mezzi di scambio intervengono a sconvolgerne completamente la fisionomia, occorre fare, ogni giorno, “un’opera buona: guardare dentro di sé e dentro gli altri”, senza paura di farci divorare dall’abisso che potremmo incontrare.