Qualche anno fa Michele Serra nei suoi “Sdraiati” spiegava come la generazione under 25 sia fatta di giovani pigri e poco motivati, che perdono tempo nella loro dimensione social, per nulla preoccupati di darsi da fare per un futuro migliore. Una rappresentazione che ha trovato molte conferme, soprattutto da parte delle generazioni precedenti, abituate ad impegnarsi nel percorso oltre che nel risultato. Un’impostazione valoriale diametralmente opposta a quella dei ragazzi di oggi.

Filippo Laporta, però, editorialista e saggista romano, ribalta completamente la tesi di Serra: “Non è vero che i giovani sono pigri, sono semplicemente insoddisfatti, e per questo sono sempre connessi e preoccupati di trovare il perchè della propria esistenza”. I giovani di oggi sono sostanzialmente “Indaffarati”, come recita la copertina del suo ultimo libro, presentato questa mattina a Pordenonelegge, impegnati in una continua ricerca di se stessi e del loro motivo di stare al mondo, che pensano di poter ritrovare nella loro dimensione social.
Laporta non è tuttavia un sociologo, ci tiene a sottolinearlo. La sua è una semplice osservazione, del tutto soggettiva, del rapporto fra un padre e il proprio figlio di 25 anni, in questo caso il suo personale rapporto con il figlio. Nel tentativo di ricercare se stessi, osserva l’autore, i giovani si scambiano informazioni, condividono emozioni e punti di vista, costantemente. Per questo sono perennemente connessi, legati in maniera indissolubile alla Rete. La ricerca di se stessi si traduce così in una nuova forma di cultura: dal sapere libresco, tipico della società del ‘900, si passa oggi a una nuova forma di Umanesimo, dove l’attenzione per le relazioni, per la natura dell’uomo e la sua concreta essenza diventano un nuovo, fondamentale punto di partenza. Dall’autoaffermazione si passa quindi alla condivisione dei propri orizzonti, esasperata dalla potenza dei social media.

“Condivisione” è allora il lemma fondamentale di questi primi anni del nuovo millennio, su cui si basa però uno degli ossimori più pericolosi: la “sharing economy”, dove l’allocazione migliore di una risorsa scarsa, cioè disponibile solo per pochi, è resa disponibile a tutti. Da questa contraddizione prende forma la riflessione di Riccardo Staglianò, giornalista d’inchiesta per Repubblica che a Pordenonelegge presenta “Al posto tuo”. L’economia condivisa rappresenta per lui una situazione in cui gli utenti che usufruiscono di un servizio sono gli stessi a lavorare per la causa in grado di offirlo, senza avere però in cambio alcuna ricompensa. Dove sta dunque la condivisione?
L’attenzione di Staglianò si concentra così sulle figure che in qualche modo si sovrappongono alle nuove generazioni, che al tempo stesso permettono e causano la loro ricerca di se stessi: gli automi. “Il 47% del lavori attualmente esistenti negli Stati Uniti”, afferma, “è oggi a serio rischio di essere completamente automatizzato“, con la conseguenza di limitare ulteriormente l’impegno dei giovani nella società. Tale situazione non mette a rischio soltanto i classici lavori di manovalanza, ormai ampiamente sostituiti da bracci robotici, come nella nuova versione della catena di montaggio, ma anche nelle professioni a più alto impegno cognitivo. Medici, anestesisti, psicanalisti lasciano sempre più l’incombenza del proprio lavoro in mano a software e programmi computerizzati. Il vantaggio di queste tecnologie è evidente: costi minori e maggiore precisione in tutti i settori.

Che ne sarà quindi dei giovani? Agevolati dal lavoro delle macchine, potranno continuare a dedicarsi alla ricerca di se stessi e allo sviluppo di un nuovo Umanesimo, cercando nella condivisione la soluzione alle proprie esigenze.