“Un piccolo passo per l’uomo, un grande balzo per l’umanità.” Questa celebre frase non ha certo bisogno di presentazioni o spiegazioni: rappresenta essa stessa uno dei traguardi più importanti e celebri del XX secolo. Basti pensare che per la prima volta in assoluto,  un abitante del pianeta Terra usciva dal nostro piccolo orizzonte, superando i limiti del cielo, e metteva piede sulla superficie di qualcosa che per miliardi di anni era stato l’unico oggetto immutabile dei cieli terrestri: la Luna.

Ma nel XX secolo ci fu un altrettanto nota spedizione, avvenuta dieci anni prima del celebre allunaggio ma con direzione opposta. Non si trattò di arrivare al punto più alto e lontano dalla terra, bensì nel punto più profondo: la fossa delle Marianne. Fu il fascino dell’esplorazione, motivato dall’interesse scientifico, a spingere tra il 1953 e il 1960 due uomini, Jacques Piccard e Donald Walsh a raggiungere il Challenger Deep, ossia il punto più profondo della crosta terrestre situato a 10.916 metri sotto il livello del mare. Ma questo non sarebbe stato possibile senza il più resistente batiscafo mai progettato fino ad allora: il Trieste.

La storia di questo sottomarino da record trae le sue origini nel senso di avventura che il padre di Jacques, Auguste Piccard, aveva maturato nel corso degli anni. Costui, ingegnere e scienziato di fama mondiale, negli anni ’30 si era reso noto per aver raggiunto, tramite un pallone aerostatico dotato di cabina stagna, la massima altezza fino a quel momento raggiungibile: 16.000 metri. Lo scopo? studiare i raggi cosmici, gli stati ionizzati e la radioattività nell’atmosfera.

Ma passarono pochi anni perché il suo interesse si spostasse altrove, verso le profondità marine. A partire dal 1948 Auguste costruì e collaudò un sottomarino in grado di raggiungere livelli di profondità superiori a quelli di qualunque modello militare, il FNRS2 poi rinominato FNRS3. Nacque il batiscafo. Assieme al figlio Jacques, nel 1953 Auguste costruì in Italia un nuovo modello più prestante e perfezionato, appunto il Trieste.

Ma cos’è un batiscafo? Per definizione letterale si tratta di uno “scafo che si può immergere in profondità”. Fin qui nulla di strano, se non fosse che, a differenza del normale sottomarino, le profondità raggiungibili sono ben più grandi. Strutturalmente esso consiste in un grande scafo di superficie contenente pesi e contrappesi per l’immersione e l’emersione (ferro e in particolare benzina poiché, essendo più leggera dell’acqua e, a differenza dell’aria, incomprimibile, si presta facilmente alla fase di riemersione senza rischiare implosioni in fase di discesa dovute all’elevata pressione), e in una cabina sferica posta sotto la chiglia, ospitante l’equipaggio, fatta con spesse pareti d’acciaio e avente un unico oblò in plexiglas per la visione esterna.

Merito principale per la costruzione del Trieste va però dato a Jacques: all’epoca egli, lavorando a Trieste come economista, ricevette un’offerta da parte di un’industria locale per la costruzione di un sottomarino analogo a quello del padre. Grazie alla collaborazione tra le acciaierie di Terni e dei Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Trieste, che rispettivamente costruirono la cabina e lo scafo, il Trieste, così battezzato in onore della città che lo aveva visto dare alla luce, fu varato, dopo l’assemblaggio delle due componenti a Castellammare di Stabia, il 26 agosto 1953 nelle acque di Capri, compiendo la sua prima immersione il 30 settembre quando raggiunse la profondità di oltre 3000 metri della fossa del Tirreno, al largo dell’isola di Ponza.

Ceduto alla U.S. Navy nel 1958, la quale all’epoca era interessata alla ricerca di progetti atti a migliorare le unità sommergibili, nonché alla stessa ricerca sottomarina, il Trieste partì da San Diego il 5 ottobre 1959 alla volta dell’isola di Guam, per dare inizio al progetto Nekton, ossia la nota spedizione oceanografica incentrata sull’esplorazione della fossa delle Marianne. Jacques venne assunto dalla stessa Marina statunitense come consulente e non si fece remore ad accettare di prendere parte alla spedizione. Assieme a lui vi era l’oceanografo ed esploratore, nonché ufficiale della Marina, Don Walsh.

Il 23 gennaio 1960 il batiscafo cominciò la sua lenta immersione, raggiungendo dopo 5 ore i 10.898 metri di profondità. Per dare un’idea delle proporzioni, negli oceani e nei mari la profondità massima di penetrazione della luce solare (detta anche zona fotica) è di 1000 metri, al di sotto dei quali il buio è completo (zona afotica). Basti inoltre pensare che l’altezza del monte Everest è di 8.848 metri: se lo si ponesse all’interno della Fossa, tra la cima e la superficie vi sarebbero ancora due chilometri d’acqua. Infine a queste profondità la temperatura media è di circa 1 grado centigrado e la pressione è pari a 1,25 tonnellate per cm²: se, malauguratamente e improvvisamente, si fosse rotto l’oblò del Trieste, l’equipaggio non avrebbe nemmeno fatto in tempo ad accorgersi del danno; la morte sarebbe stata istantanea.

Per fortuna la spedizione non ebbe complicazioni tali da abortire e si concluse con successo: Piccard e Walsh restarono ad ammirare il fondale della Fossa per venti minuti. Si presentava davanti ai loro occhi qualcosa che nessun essere vivente di superficie aveva mai visto: una distesa di fango immersa nel buio più assoluto, visibile fin dove la luce dei fari riusciva ad arrivare. I due esploratori in seguito raccontarono di aver visto sul fondale alcune sogliole e platesse: era la conferma che la vita poteva esistere anche in condizioni del tutto proibitive.

Dopo la spedizione del Trieste ne seguirono altre tre con altri batiscafi: la prima, compiuta nel 2003, venne abortita per la perdita in mare dello scafo, mentre la seconda, del 2009, non aveva un equipaggio a bordo. La terza, più recente, avvenuta nel 2012 vide il regista James Cameron  scendere in solitaria: è stata la seconda volta nella storia che un abitante della superficie ha raggiunto queste profondità, la prima per un civile. Per quel che riguarda invece il destino del Trieste, nell’aprile del 1963 esso fu modificato allo scopo di essere utilizzato nell’Atlantico per la ricerca di un sottomarino nucleare affondato in quell’anno, l’USS Tresher, poi ritrovato nei pressi del New England a 2560 metri di profondità. Dopo questa missione il batiscafo fu smantellato e la sua sfera pressurizzata fu utilizzata nel batiscafo Trieste II, costruito negli Stati Uniti nel 1969. Attualmente è conservata nell’U.S. Navy Museum di Washington.

Se la missione dell’Apollo 11 fu il più grande evento esplorativo della storia dell’umanità, quella della fossa delle Marianne fu senza dubbio la seconda più importante del XX secolo. Paradossalmente e scherzosamente, è il caso di dirlo, la si può anche vedere come il solo e unico momento in cui Trieste toccò il fondo.

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