Della montagna si ha sempre una visione stereotipata: è alta, rocciosa, innevata d’inverno e soprattutto pensiamo che sia sempre stata lì. Con occhi umani questo modo di vedere non potrebbe essere più azzeccato. Se però cambiamo punto di vista, si capisce che le cose non sono sempre state identiche a come appaiono oggi.

Una storia curiosa e allo stesso tempo interessante riguarda la cornice della pianura pordenonese. Più che un racconto di vissuto umano, è un racconto che trascende i secoli, i millenni e i milioni di anni e che riguarda persino i sassi. Detta così suona un po’banale ma la storia della montagna pordenonese e della destra Tagliamento per eccellenza, quella del Piancavallo, ha comunque una sua importanza e serba alcune curiosità non note ai più.

Per introdurre la nota stazione sciistica si dovrebbe dapprima parlare di Monte Cavallo, da cui il piano prende il nome. Con i suoi 2.251 metri sul livello del mare (Cima Manera, la più alta), assieme al Cimòn dei Furlani, a Cimòn di Palantina, al Monte Colombera e al Monte Tremol, costituisce il Gruppo del Cavallo, il grosso massiccio a tre corna nelle Prealpi bellunesi che svetta sulla pianura circostante. La sua forma e la sua altezza, nelle giornate terse e soleggiate, sono ben visibili anche da Venezia, come pure la stessa città lagunare è visibile dalla montagna.

All’epoca dei dinosauri, quegli stessi rilievi che abbiamo sotto gli occhi da sempre non esistevano: analogamente al resto della penisola italiana ci si sarebbe trovati in un arcipelago tropicale, con acque poco profonde caratterizzate da una florida barriera corallina; praticamente ai Caraibi. Circa la fauna preistorica presente, ancora oggi se si cammina lungo i sentieri, si trovano resti fossili di piccole conchiglie e molluschi.

Analogamente al resto delle Alpi, il fondale di questo mare caldo si sarebbe rialzato nel corso dei successivi milioni di anni, complice la spinta del continente africano su quello euroasiatico, tramutandosi dapprima in un insieme di colline e in seguito in veri e propri rilievi. Circa 2 milioni di anni fa però la situazione non era ancora quella attuale: le montagne pordenonesi altro non erano che una costa analoga a quella delle Cinque Terre, con forti pendii che davano direttamente sul mare.

La pianura sarebbe comparsa in seguito, con la formazione di depositi alluvionali durante e successivamente all’era glaciale (circa 230.000 anni fa), in corrispondenza con i primi insediamenti umani. I ritrovamenti nei pressi del Monte Sauc dimostrano che il piano fosse abitato già 30.000 anni fa da popolazioni paleolitiche, il che fa pensare a una frequentazione stagionale secondo periodi di caccia.

Compare quindi l’uomo e con esso si passa alla storia vera e propria. Sono molte le raffigurazioni di Pordenone con le montagne sullo sfondo, spesso utilizzate come riferimento alla stessa città. Ancora una volta però la montagna era diversa da come appare oggi: diversamente dal vicino Cansiglio, nell’altopiano del Cavallo non esistevano boschi estesi. Proprio come il Carso, non vi erano altro che erba, rocce e arbusti: una pietraia in parte ancora oggi visibile nei sentieri che, dando sulla pianura, costeggiano la montagna.

Da secoli il territorio era sede di malghe e pascoli ma è con il 1726 che si ha la prima ascensione del Cimòn del Cavallo, quando due botanici, Giovanni Girolamo Zanichelli e Dimenico Pietro Stefanelli, ne conquistarono la cima: si trattava di una scalata non finalizzata al raggiungimento della vetta in sé ma incentrata sull’aspetto botanico. È un interesse, quello dell’alpinismo, che maturerà successivamente nel corso del XIX secolo. Si dovrà però aspettare il 2 agosto 1925 per avere un risvolto pratico, quando venne inaugurato il primo rifugio alpino, il Rifugio Policreti, situato nel Col delle Lastre, odierno Collalto.

Durante la seconda guerra mondiale, il rifugio e l’altopiano furono nascondiglio dei partigiani, in particolare della Brigata partigiana Ippolito Nievo, comandata da Mario Modotti (Tribuno) e da Pietro Maset (Maso). Nel settembre 1944 però il nascondiglio fu scoperto e distrutto dai tedeschi: al suo posto, nel 1951, venne costruita e inaugurata la Chiesetta degli Alpini, per volontà dell’Associazione Alpini di Aviano in memoria dei caduti. Nel realizzarla vennero usati alcuni materiali reperiti dalle rovine del Rifugio.

Tra il 1948 e il 1956 venne realizzato di un secondo rifugio, il Rifugio Piancavallo, oggi noto come Sport Hotel, sito nei pressi della Busa del Sauc. Il giugno del 1965 fu una data simbolica: in questa occasione, infatti, dopo due anni di lavoro e 7.400 metri di cavo tirato, arrivò la corrente elettrica e venne accesa la prima lampadina sul piano. Nell’arco di dieci anni, seguirono l’inaugurazione dei primi impianti di sci e le prime competizioni estive (il Rally Piancavallo, di valenza europea, a partire dal 1970) e invernali (dal 1979 agli anni’90 si tennero le gare femminili della Coppa del Mondo di sci alpino), dando così il via allo sviluppo edilizio, turistico, commerciale e sciistico che porteranno Piancavallo ad essere come oggi la vediamo.

Lascia un commento