Nel vasto e complesso mosaico politico del Friuli medievale, il territorio compreso tra i fiumi Livenza e Tagliamento era disseminato di domini feudali, controllati da casate potenti e radicate nel tessuto istituzionale e sociale dell’epoca. I signori feudali, che in questo contesto rappresentavano l’ossatura del potere locale, si distinguevano in tre grandi categorie: liberi, ministeriali e abitatori. Ognuna di esse svolgeva un ruolo peculiare nel delicato equilibrio tra autonomia locale e autorità centrale, incarnata dal Patriarcato di Aquileia.

I feudatari liberi, o majores terrae, rappresentavano la classe dominante del sistema feudale. Erano titolari di vasti possedimenti, godendo di ampia autonomia amministrativa, giurisdizionale e militare. Avevano rapporti diretti col principe e, in cambio dell’investitura e della protezione, offrivano omaggio e supporto militare in tempo di guerra. Il privilegio del mero e misto imperio li autorizzava a esercitare piena giurisdizione civile e penale sui loro territori: un potere quasi sovrano.

I ministeriali, invece, erano funzionari feudali che ricoprivano ruoli specifici all’interno della corte o dell’amministrazione patriarcale. Si trattava di camerarii, marescalchi, magistri coquinae, saltarii, e così via: figure che univano compiti amministrativi e militari, godendo anch’essi di investiture feudali, seppur più limitate rispetto ai feudatari liberi.

Infine, gli abitatori erano signori di castelli o borghi fortificati, a cui era affidata la custodia e la difesa delle mura. Il loro ruolo militare era fondamentale, soprattutto in un’epoca in cui il conflitto tra poteri locali e dominazioni più vaste era frequente.

I vassalli patriarcali: il caso esemplare dei Prata

Tra i più influenti feudatari liberi del Friuli, spicca la famiglia dei Prata, considerata la più illustre del territorio. Le origini di questa casata si perdono nella leggenda, ma la documentazione storica comincia a parlarne con chiarezza a partire dal 1040, con Gabriele di Prata, avvocato della chiesa di Concordia. Suo figlio Gueccelletto ottenne anche l’avvocazia della chiesa di Ceneda, ampliando notevolmente il patrimonio familiare.

L’investitura feudale concessa nel 1088 dal patriarca di Aquileia, Godofredo, a Gueccelletto, fu di eccezionale importanza. Oltre al feudo di Prata, gli furono riconosciuti vasti territori che si estendevano da Porcia a Brugnera, lungo tutto il tratto del Livenza fino alla fossa Cigana, con pieni diritti di giurisdizione, garrito (esercito) e comitato (amministrazione territoriale).

La famiglia si divise successivamente in due rami: Gabriele II, che mantenne il titolo di signore di Prata, e Federico, che divenne signore di Porcia e Brugnera. Entrambi conservarono titoli, beni e diritti, ma furono i Prata a rappresentare per secoli una delle famiglie più potenti e rispettate della regione. Il loro castello, ampio e ben difeso, divenne anche rifugio per esuli politici, come i ghibellini fiorentini nel 1258.

L’autorità dei Prata era tale da permettere loro di esercitare il potere giudiziario, anche capitale, all’interno dei propri domini. La loro importanza fu ulteriormente ribadita da personaggi di spicco come Gueccello II, podestà di Padova e vicario imperiale, e il cardinale Pileo, nunzio pontificio.

Tuttavia, la sorte della casata mutò radicalmente nel 1419, quando fu bandita dalla Repubblica di Venezia per aver sostenuto la causa asburgica. Il loro castello fu raso al suolo, e i loro feudi passarono ai Floridi di Spilimbergo, fedeli alla Serenissima.

I signori di Porcia: continuità e astuzia politica

Dal ramo di Federico nacque un’altra potente dinastia: i Porcia, che ricevettero i castelli di Porcia e Brugnera e conservarono l’avvocazia della chiesa di Ceneda fino al XVI secolo. Anche questa famiglia si distinse per l’alto lignaggio e per la quantità di terre sottoposte alla loro giurisdizione.

Possedevano territori vastissimi, comprendenti non solo i castelli principali ma anche molte ville e borghi. La loro giurisdizione era estesa su Fontanafredda, Palse, Ronche, Rovereto di là (Montereale), Roraipiccolo, Zuccolo, Sedrano, Spinaceto, Talponedo, Villa d’Olt, Ceolini, Villa Scura, Taiedo, Sugnan, Orsera, San Foca, Castions di Zoppola, Corte (Sacile), Caollano, Francenigo, Fossalta, Albina, Candreano, S. Canciano, Gaiarine, Maron, Resteiuzza, Roveré basso. Nel 1254 la famiglia acquistò dal conte Mainardo di Gorizia la villa di Cordenons e di Zoppola, il castello di Pordenone, Rorai e Villotta . La gestione amministrativa era ben strutturata: a Porcia veniva nominato un podestà con quattro giurati, mentre a Brugnera operavano due giurati per amministrare la giustizia.

I Porcia ebbero un ruolo importante anche nella vita politica e culturale del Friuli. Diversi esponenti raggiunsero alti incarichi ecclesiastici e civili: tra questi, Giacomo, vescovo di Aosta e poi di Asti; Giovanni Ferdinando, ambasciatore e governatore della Carinzia; Jacopo, umanista e storico; Silvio, valoroso combattente a Lepanto; e Girolamo, autore di una celebre monografia sul Friuli.

La chiave del successo e della longevità dei Porcia risiedette anche nella loro abilità politica. A differenza dei Prata, seppero riconoscere per tempo la supremazia veneziana e si piegarono a essa nel 1418. Questo gesto strategico permise loro di conservare feudi e privilegi anche sotto la nuova dominazione. Pur perdendo progressivamente molte delle loro terre per vendite, doti o divisioni, i Porcia riuscirono a mantenere il castello e un notevole patrimonio fino ai giorni nostri, rappresentando uno dei pochi esempi di continuità aristocratica nel Friuli.

I Polcenigo: tra fedeltà, confini e riscatto

Un altro casato di primo piano fu quello dei Polcenigo, signori di confine, il cui castello è documentato già nel 963 con la donazione dell’imperatore Ottone I al vescovo di Belluno. Il maniero, insieme al Monte Cavallo, fu poi affidato ai signori di Polcenigo e Fanna come feudo legato all’avvocazia della chiesa di Belluno.

Anche i Polcenigo ottennero feudi dal patriarca di Aquileia, e per questo sedettero in Parlamento tra i feudatari liberi. Il loro dominio comprendeva i castelli di Polcenigo e Mizza, e un vasto territorio con numerose ville, tra cui San Giovanni di Polcenigo, Dardago, Budoja, Coltura, Cavasso e Frisanco.

Politicamente ambigui, furono spesso percepiti come potenzialmente pericolosi per la Patria friulana, proprio per la loro posizione ai confini. Nel XVII secolo subirono un duro colpo: per liberare due membri della famiglia fatti prigionieri dai Turchi, furono costretti a vendere gran parte dei loro possedimenti. Fu in questa occasione che i Manin di Venezia, anch’essi di origine friulana, acquistarono il titolo di conti di Polcenigo.

Nonostante le difficoltà, i Polcenigo mantennero il controllo diretto sulla giustizia criminale all’interno dei loro territori, esercitando un potere effettivo e radicato, tipico dei grandi feudatari.