A seguito della sconfitta dell’Austria nel 1508, Pordenone e il suo distretto che comprendeva le ville di Cordenons, San Quirino, Valle, Noncello, Villanova, Rorai, Poincicco, passò da un dominatore straniero a un altro, seppur molto più vicino in quanto a cultura e tradizioni: la Repubblica veneziana.
Dopo un breve periodo, durante il quale venne sottoposta al feudo di Bartolomeo Liviano e quello di suo figlio Livio, ritornò sotto il governo diretto del leone di San Marco. Da tempo imperversava in città il malcontento dei pordenonesi a causa degli atteggiamenti dispotici dei d’Alviano tendenti a rafforzare la fama personale anziché occuparsi delle esigenze della comunità cittadina. Così come scrive Bartolomeo Candiani nei suoi Ricordi Cronostorici “estintasi la famiglia dei Liviani, il feudo cessava e la Repubblica riprendeva il suo possesso, dandogli così quella pace e tranquillità che non godeva da lunghissimo tempo, abbenchè i pordenonesi, sotto il dominio tedesco, fossero trattati mitemente, anzi si può dire benevolmente”.
La Repubblica della Serenissima, che era solita riconoscere a tutte le città sottomesse le loro peculiarità e usanze ereditate dal passato, fece lo stesso anche con Pordenone, associando da subito alla città una singolare posizione politica, giuridica, amministrativa e territoriale (fungeva da crocevia strategico per i traffici commerciali tra nord e sud Europa). Esentata dalla partecipazione alle adunanze del parlamento e quindi separata dalla Patria del Friuli, versava i pagamenti delle tasse e gli altri gravami direttamente a Venezia anziché alla Camera di Udine. Pordenone faceva una provincia a sé, un corpus separatum il cui capo era il provveditore-capitano nominato da Venezia.
Il Maggior Consiglio veneziano ripristinò le cariche del podestà e dei giudici soppresse dalla riforma liviana per riservare agli stessi organi la giurisdizione in primo grado, lasciando quindi un largo margine di autonomia per le sentenze di ordine sia civile che penale. Come si legge dalla ducale del doge Francesco Donà del 1547, una prerogativa di Venezia era rispettare le tradizioni e le usanze delle città a lei sottoposte “perché fermissima mente nostra è che li Statuti, & Privilegi d’essa fidelissima Comunità inviolabilmente li siano osservati”.
Il governo veniva esercitato da un unico organo: il Consiglio. Secondo un documento del 1605, era formato da diciannove componenti tra i quali tredici nobili, sei popolari e il provveditore (il rappresentante della Repubblica nominato dal Maggior Consiglio tra i patrizi veneziani). Si radunava sotto la Loggia ed esercitava tutte le funzioni necessarie alla funzionalità della città quali l’attività giurisdizionale, la gestione delle finanze pubbliche e l’amministrazione dei beni ecclesiastici. Come si può notare da un veloce confronto nel numero dei componenti, il modus operandi della Serenissima era quello di concentrare la gestione della cosa pubblica in mano a una ristretta oligarchia cittadina composta per la maggior parte da membri del rango nobiliare. A questa fazione del Consiglio cittadino potevano partecipare solo coloro che rispondevano a tre requisiti: che non avessero esercitato “arte mecanica manuale” da tre generazioni, che avessero abitato a Pordenone e pagato le tasse da quarant’anni.
Le famiglie che, secondo i numerosi documenti dell’Archivio delle pubbliche scritture istituito nel 1574, risultavano membre di quest’organo, non erano solo di origine pordenonese. In città si contavano, infatti, provenienze diverse. Compaiono nomi lombardi come i Pinali, i Tinti e i Cattaneo che, dal Bresciano e dal Bergamasco, arrivarono in città come ricchi mercanti di panni e stoffe. Grazie alla vedova del feudatario Bartolomeo d’Alviano, Pantasilea Baglioni, all’inizio del XVI secolo era rifiorito l’esercizio dell’arte della lana approvata nel 1522 dallo statuto della fraglia di San Biagio. Numerose attività commerciali, molitorie, di lavorazione del ferro, del rame e della carta erano segno di una fioritura economica della città pordenonese in età moderna. Grazie anche al fiume Noncello che nel 1550 vide il suo primo ponte in pietra e dal 1694 l’istituzione di un traghetto che collegava la città a Portobuffolé, Motta e Meduna, i traffici commerciali erano resi più veloci. Queste importanti opere pubbliche vennero accompagnate nel 1544 dalla costruzione nel castello, più precisamente nella torre grande, delle carceri a spese della comunità.
Durante l’età moderna, sotto la Repubblica della Serenissima vi erano due importanti istituzioni cittadine: il Fondaco del Frumento e il Monte di Pietà.
Nel 1630 l’ultima Grande Peste, quella raccontata dal Manzoni ne I Promessi Sposi, mise in ginocchio la città e il circondario causando la morte di più di mille persone su un territorio che contava circa settemila anime. Le epidemie furono ricorrenti a Pordenone, periodi di carestia e siccità o inverni molto rigidi erano la norma e la popolazione calava drasticamente soprattutto per la mancanza di approvvigionamenti alimentari. Per far fronte a questi problemi, i provveditori costituirono un granaio pubblico usato durante questi periodi di crisi per vendere i cereali a prezzi vantaggiosi. L’istituzione del Fondaco del Frumento divenne di tale importanza che nel 1638 il Luogotenente Foscarini intervenne per assicurare la sua integrità “a benefizio, e uso de Poveri”.
Nel 1676 venne inoltre approvata la creazione del Monte di Pietà. Trattandosi di un vero e proprio banco che univa all’attività di prestito di denaro anche quella di deposito, questa istituzione faticò ad affermarsi in città per la mancanza di capitale. Le continue guerre che impegnavano la Serenissima coinvolgevano infatti tutte le città sotto il controllo della dominante con un dispiego di mezzi e uomini incessante che portarono più volte la stessa città di Pordenone a chiedere delle tregue dalla tassazione.
La fine del dominio di Venezia su Pordenone si compì nel 1797 ad opera delle truppe napoleoniche quando la città venne incorporata nel napoleonico Regno d’Italia dal 1806. Con l’arrivo degli austroungarici e dopo la divisione dei territori delle maggiori potenze sullo scacchiere europeo dal 1815 diventò parte del Regno lombardo-veneto rimanendo dominio austriaco fino al 1866.
Storica dell’arte, per molto tempo mi sono dedicata alle rubriche Radici nel tempo e Voli sul territorio, nel tentativo di valorizzare l’incomparabile patrimonio storico e artistico della mia regione. Oggi, faccio parte del consiglio direttivo dell’associazione e mi occupo di comunicazione.
Come ogni mancina che si rispetti, mi scivola tutto tra le mani. Qualche volta riesco a tenere ferma una penna, ma litigo con le parole. É con i libri già scritti che ho più affinità.