Parlare della poesia del Novecento non è affatto semplice. Tuttavia, l’incontro di stamani con Claudia Crocco e Roberto Galaverini ha sviscerato in modo impeccabile ciò che è il tema centrale della poesia novecentesca, l’IO del poeta.

A differenza dell’epica, la poesia del Novecento è strettamente personale, vede il poeta confrontarsi con il mondo, con le affascinanti ma allo stesso tempo stranianti città moderne. L’IO dello scrittore è un IO isolato, che dimostra nella poesia la sua difficoltà a relazionarsi con ciò che lo circonda e che tenta di trovare un modo per ritrovare se stesso ed evadere da ciò che non comprende.

Per fare ciò l’intellettuale Claudia Crocco ha ricostruito un percorso portando delle poesie-simbolo che dimostrano l’evolversi di questo tentativo di parlare dell’IO.

Il primo testo proposto è quello di Camillo Sbarbaro, la poesia «Taci, anima stanca di godere»: un imperativismo che introduce una biografia tragica, un modo di porsi dell’anima tutto moderno. Sbarbaro utilizza, fra i tanti, un espediente ricorrente nella poesia dello scorso secolo: la tautologia, ossia l’uso di frasi autoevidenti.

E gli alberi son alberi, le case
sono case, le donne
che passano son donne, e tutto è quello
che è, soltanto quel che è.
– da «Taci, anima stanca di godere» di Sbarbaro
(esempio di tautologia)

Già questa poesia dimostra come accanto all’IO ci sia la presenza di un TU, che si presenta in molteplici modi all’interno della poesia novecentesca. Se in Sbarbaro il TU è la sua stessa anima in un dialogo introverso, in «Arsenio» di Montale assume una presenza fisica: una donna che compare verso la fine della poesia. In questo secondo testo proposto, Arsenio non è altri che l’alter-ego di Montale. Qui il contesto diventa naturale, quasi a riprendere la tradizione classica, ma ciò che spicca è sempre quella mancanza di equilibrio e quello straniamento sempre presenti in quel «delirio di immobilità» della quotidianità.

L’unica possibilità di salvezza sono le epifanie, vere e proprie rivelazioni che spezzano il tempo, producendo scatti che interrompono questo delirio insopportabile che soffoca il poeta in cui l’IO pala di sé in modo scisso.
Questa concezione verrà poi ripresa da quei poeti che seguono Montale, in quella fase sperimentale che inizia poco prima degli anni ’60.

Un esempio ne è Vittorio Sereni, di cui la Crocco propone «Il muro». Il poeta, nel cimitero, incontra una seconda voce, quella di suo padre, iniziando un dialogo in cui IO e TU si alternano: si parla sempre dell’IO, ma introducendo un’altra voce. Anche questo è un metodo nuovo, senza dimenticare la tautologia, che rimarca sempre come la realtà vada accettata nell’assenza di significati ulteriori.

Ciò è anche presente, anche se in modo diverso, in Franco Fortini il quale, nella sua poesia «Traducendo Brecht», introduce un IO che parla di ciò che lo circonda, creando una poesia del tutto ideologica che nel confronto con la realtà crea un modo per parlare della verità.

Accanto a queste novità e contraddizioni, spicca quella che è una scomposizione del linguaggio che giunge a una estrema maturazione con De Angelis. Post-ideologico e post-metrico, questo poeta nutre un rapporto diverso con la tradizione.
Altro contemporaneo, il poeta friulano Mario Benedetti, inserisce un personaggio donna nelle sue poesie e anch’egli, scomponendo il linguaggio, crea una poesia caratterizzata da temi moderni e un lessico diverso, dimostrando come essa rimanga un modo per parlare della solitudine nel mondo che ci circonda.

Al termine di questo excursus poetico, Roberto Galaverini è intervenuto spezzando una lancia a favore della evidente complessità della poesia del Novecento. «Una pratica salutare è quella di raffrontare le poesie dei diversi poeti, senza avere pregiudizi.»

Leggendo e cercando di comprendere i poeti del Novecento italiano, periodo molto ricco per la poesia, ci si potrebbe imbattere in quelli che alla fine sono anche i nostri dubbi, le nostre pulsioni, la nostra storia.
Con questa riflessione si conclude un incontro dedicato a ragionare sulla relatività dei temi poetici e su quella sensazione di disagio che porta a costruire la poetica, e di conseguenza la letteratura, nel tormentato secolo del Novecento.

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