La condizione di Beppe Fenoglio, formidabile romanziere epico, è certamente una delle più claudicanti, incostanti e caratterizzate da nervose virate della letteratura italiana del secondo dopoguerra. L’accoglienza che grande pubblico e critica gli hanno riservato è stata evirata dalla prematura morte a soli 41 anni, ma le cause di una freddezza che può sembrare altrimenti insondabile sono variegate – e la responsabilità di alcune di queste cade sul capo dello stesso Fenoglio.

Cresciuto artisticamente nella provincia piemontese, fu in grado di alternare grandi moti di sicurezza a indecisioni e tentativi goffamente empirici: basti ricordare che gli ultimi anni della sua vita editoriale furono azzerati dal contenzioso tra Garzanti e Einaudi, entrambi decisi a rivendicare l’esclusività del contratto stipulato con lo scrittore piemontese. Solo con la sua morte nel 1963 si aprirà una nuova stagione per le sue opere: di quell’anno è la pubblicazione Una questione privata, mentre Il partigiano Johnny sarà distribuito al pubblico solo dopo un lustro. Quale dunque la successione di eventi che ha diretto alla pubblicazione postuma di entrambe le opere principali? Nel 1955, Fenoglio – percependo di aver raggiunto una certa maturità, di aver sviluppato una propria voce – aveva deciso di avviare la stesura di un libro grosso: ovvero la storia di un alter-ego – Johnny – coinvolto nella guerra civile tra partigiani e fascisti. Scritto in prima stesura in lingua inglese (nelle pause del suo lavoro da redattore di lettere per un’azienda vinicola) e successivamente retrotradotto in italiano, nel 1958 inviò le prime duecento pagine del manoscritto all’editore Garzanti, che di comune accordo con Citati decise di pubblicarlo immediatamente, nonostante ritenesse che il romanzo partisse con eccessiva lentezza. L’idea originale di Fenoglio era però quella di separare questa sua composizione, scomponendo le parti con l’armistizio dell’otto settembre; di fronte alla freddezza di Garzanti la sua decisione fu netta: aggiungere un paio di capitoli, far morire il proprio protagonista, chiudere il libro. I risultati furono la pubblicazione del 1959 di Primavera di bellezza, che si concludeva in effetti con la morte del personaggio principale, e un manoscritto di 450 pagine lasciato nel cassetto, sequel impossibile che raccontava delle gesta di un Johnny già morto. Fu solo nel 1963 che si aprì, con la scomparsa dell’autore, la stagione di caccia all’inedito: in seguito alla pubblicazione di Una questione privata, era proprio quel manoscritto a rappresentare una grossa riserva d’avorio per gli editori.

Quale, tuttavia, la reale funzione dell’ennesima – la quarta – sistemazione della storia di questo Johnny, sciagurato partigiano dal destino confuso? Il libro di Johnny, a cura di Gabriele Pedullà, scioglie in effetti uno dei maggiori nodi dell’edizione del 1999: Il partigiano Johnny era stato inizialmente scritto come continuazione della versione di Primavera di bellezza in cui il protagonista non viene prematuramente eliminato. Una soluzione sarebbe stata scremare Primavera di bellezza dagli ultimi due capitoli, per concedere al protagonista di proseguire il proprio cammino: risulta però triviale l’inammissibilità filologica di una scelta che avrebbe contrariato la volontà dell’autore. Si è deciso allora di utilizzare una stesura differente, in linea con l’idea originale di Fenoglio, ovvero le prime duecento pagine inviate a Garzanti, alla cui conclusione Johnny sopravviveva.

Nell’insieme la struttura del romanzo ne risulta arricchita, e la trama non più in balìa delle bizze del protagonista; riesce ora facile identificarne l’ossessione per il padre-fiume, la centralità di quegli incontri che, privi di storia passata, potevano arrivare slavati dalla loro vera funzione nel racconto. Più similmente a Una questione privata, i rapporti tra i personaggi guidano la storia e il cammino del protagonista. Si gode di un Fenoglio epico, ma equilibrato: credibile. Un autore lontano, parlando di un’arte lontana, lo avrebbe forse definito un punctum, nel panorama letterario italiano.

Il grande scrittore è quello che sottolinea i legami che a tutti noi paiono invisibili, che ci suggerisce qualcosa di profondo e universale della condizione umana.

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