Il dibattito sul perfezionamento dell’Unione Europea è uno dei più accesi e attuali: parametri di bilancio, trattati, procedure sono sempre più presenti sugli organi di informazione, anche se spesso l’impressione è che ancora troppe poche persone capiscano l’importanza della discussione.
Se ne è parlato stamattina, al Palazzo della Provincia, insieme, fra gli altri, a Marcello Degni, professore di Economia Politica all’università di Pisa, e Paolo deIoanna, già capo di gabinetto dell’allora ministro del tesoro Carlo Azeglio Ciampi, autori del libro Il vincolo stupido. Italia ed Europa nella crisi dell’Euro, incentrato sulla critica all’austerità e al limite di deficit/pil del 3%. Questo parametro, impone che uno stato faccia un disavanzo annuo di solo il 3% rispetto al pil,, cioè quando, per esempio, uno stato spende una cifra annua pari al Prodotto Interno lordo, entro fine anno deve recuperare, con tasse e tagli al welfare, il 97% di quanto speso, lasciando quindi il 3% al settore privato; è evidentemente una imposizione pesante e che obbliga a limitare le spese o ad aumentare le imposte, e in tempi di recessione questo è letale per l’economia di cittadini e imprese. Oltre agli autori, erano presenti altre due persone esperte del tema, ovvero Andrea Manzella, preside della facoltà di giurisprudenza della LUISS di Roma, e Nicola Sartor, professore di scienza delle finanze all’università di Verona, ed ex sottosegretario all’economia durante il governo Prodi II.
.Sia Manzella che Sartor parlano del libro come una critica costruttiva. I quattro concordano sul fatto che il processo di coesione europeo è irreversibile e che l’Italia dovrebbe seguirlo sempre di più; ma sono anche d’accordo che l’eccessiva rigidità in campo economico e finanziario, fino ad arrivare addirittura al pareggio di bilancio ( cioè quando uno stato incassa tra tasse e tagli esattamente quanto speso in spesa pubblica durante l’anno) e alla costituzione dell’ ERF, “Fondo Europeo di Redenzione” dove gli stati trasferiscano parte dei loro beni pubblici e delle riserve in oro come garanzia e in caso permettano la loro cessione per ripagare il debito pubblico, tutte misure gradite ai paesi nordici come Germania e Finlandia, sia assolutamente sbagliato e da correggere, dato che,come dice Manzella all’inizio del suo intervento, «in ogni caso è sbagliato che intere generazioni debbano pagare per un debito non creato da loro, e difficilmente saldabile a prescindere» Manzella parla anche del Fiscal Compact, altro trattato molto discusso e contestato, definendolo comunque come base di una vera costituzione europea, almeno in campo fiscale ed economico, e difende le cessioni di sovranità.
Interviene poi Nicola Sartor, che attacca certi paesi che vogliono un unione senza trasferimenti fiscali, necessari per tenere insieme l’unione, e ricorda che negli USA ogni stato, di fatto, salda i debiti di altri stati, grazie proprio ad un collaudato ed equo sistema di trasferimenti interni. Critiche pure al concetto di pareggio di bilancio, sempre sull’esperienza degli Stati Uniti, dove nonostante viga teoricamente il pareggio di bilancio, ci sono stati che hanno disavanzi fortissimi, saldati dai surplus abbondanti di altri stati.
A questo punto intervengono anche i due autori del libro. Degni torna nuovamente a spiegare la base teorica alla critica al parametro del 3% deficit/pil, contenuto nel Trattato di Maastricht del 1992, e poi ritorna a parlare del Fiscal Compact, contenente l’obbligo di inserimento del famigerato pareggio di bilancio in costituzione, cosa già avvenuta in Italia dal 2011 con decorrenza dal 2016, e poi un’altra norma estremamente rigida come l’obbligo ridurre il debito pubblico al 60% del pil entro il 2035, con costi che si aggirano fra i 20 e i 50 miliardi all’anno per vent’anni. “L’estrema rigidità di questi trattati provocherà danni enormi ai paesi dell’eurozona alla prossima ricaduta della crisi, e metterà fine addirittura all’Europa stessa.” Infine, Della Ioanna ricorda a tutti che 15 anni fa la Germania non versava in condizioni grandiose, e veniva definita dall’Economist come “il grande malato d’Europa”, e che non è stata certo con l’austerity che si è ripresa. E sui trasferimenti fiscali all’interno dell’Unione, riprendendo Sartor, dice
In America in fondo nessuno si lamenta di ciò; perché fra noi europei c’è chi si lamenta, e con quali ragioni?
Mi chiamo Giulio Pellis, nato a Pordenone il 3 giugno 1994, mi sono diplomato al liceo classico e oggi studio economia all’ università di Udine. Sono attivo nell‘ambito dell‘attivismo politico a livello regionale, mi piacerebbe molto diventare giornalista e con la scusa del lavoro girare il mondo in lungo e in largo.