Oggi il nostro volo sulla provincia di Udine si ferma a pochi metri dal confine con l’Austria: nella Val Chiarsò, detta anche Canal d’Incarojo. Protetta dallo sguardo vigile delle Alpi Carniche, tra le quali spiccano le imponenti moli dei monti Sernio (2187 m) e Zermula (2143 m), qui sorge Paularo, che con poco più di 2700 abitanti è il secondo comune più popoloso della Carnia, alle spalle del “capoluogo” Tolmezzo.
Ed è ai verdi prati delle sue montagne che probabilmente Paularo deve il suo nome: “pabolarium” in latino infatti significa “pascolo”, ma vi è anche una seconda ipotesi, che fa risalire l’origine del toponimo Paularo alla forte presenza di piante d’ippocastano nella vallata: da qui “povui-poulars”, ossia “luogo degli ippocastani”, come testimoniano gli unici due alberi secolari di piazza Julia. Difficile invece tracciare un resoconto completo della storia paularina, visto che l’archivio della frazione di Villamezzo, che custodiva una fornitissima documentazione sulla storia della vallata, fu distrutto da un incendio nel 1709. Dalle poche notizie arrivate fino ai giorni nostri si sa con certezza della presenza di insediamenti in val d’Incarojo sin dall’XI secolo, mentre permangono dubbi sulla veridicità della battaglia di Lanza, che sarebbe avvenuta nel 1478, nella quale i valligiani respinsero l’assalto dei Turchi.
Visitare Paularo è un’esperienza che va fatta rigorosamente a piedi, magari partendo… al di fuori del paese, giusto per abituare gli occhi alla bellezza della natura che ci circonda. Caldamente consigliati sono i vari itinerari che collegano le malghe Pizzul, Zermula e Meledis, con quest’ultima particolarmente raccomandata per la qualità dei prodotti caseari, ma meritano sicuramente una visita anche la forra creata dal torrente Chiarsò in località Ramaz e le tante cascate della conca, tra cui va ricordata quella di Salino, cara alla poetessa Caterina Percoto, che qui era solita passare i periodi di vacanza. Gli appassionati di ciclismo possono invece trovare terreno fertile nei tracciati di mountain-bike dei dintorni e nelle aspre pendenze dei passi Duron e Cason di Lanza, entrambi inclusi negli ultimi anni nelle tappe friulane del Giro d’Italia.
E chissà che magari durante una di queste passeggiate non vi capiti ti trovarvi faccia a faccia con i Guriùz, i piccoli gnomi che secondo la leggenda dopo un lungo peregrinare sono stati accolti in questi luoghi dagli abitanti della valle. Fate attenzione però: la credenza popolare ci racconta che i guriùz prima di vivere in pace con i valligiani furono sorpresi a rubare del cibo e che cambiarono idea solo dopo aver assaporato la bontà dei cjarsons (dei ravioloni ripieni tipici della cucina carnica) locali; quindi non fidatevi troppo.
Non sono solo le montagne ad attirare l’attenzione dell’ignaro turista però: basta infatti fare un giro per il paese e le sue frazioni per accorgersi come molte abitazioni antiche siano rimaste ben conservate nel tempo. Tra questi spiccano sicuramente il cinquecentesco palazzo Calice-Screm, considerato da molti uno dei migliori esempi dell’architettura carnica, con la sua doppia loggia a quattro archi; palazzio Valesio-Calice nella frazione di Villamezzo, anch’esso cinquecentesco e casa forte della famiglia nobile veneziana della zona e palazzo Linussio-Fabiani, risalente al Settecento, che fu dimora della famiglia dell’imprenditore tessile Jacopo Linussio e ospitò tra gli Giosuè Carducci nel suo soggiorno in Carnia.
Una visita completa non può non comprendere la chiesa di Santa Maria Maggiore, ubicata nella frazione di Dierico, che al suo interno ospita gli affreschi di Giulio Urbanis da San Daniele e il magnifico altare ligneo cinquecentesco, opera di Antonio Tironi da Bergamo, oltre alla suggestiva parrocchiale dei santi Vito, Modesto e Crescenzia martiri, raggiungibile salendo una suggestiva scalinata in pietra. Costruita alla fine del Settecento sulla pianta di una precedente chiesa, al suo interno ospita, tra le altre opere, l’altare marmoreo donato da Jacopo Linussio e l’affresco sulla navata dipinto da Antonio Schiavi.
Pezzo forte della città e però è il Museo Musicale Mozartina, collezione privata di strumenti d’epoca raccolti dal maestro Giovanni Canciani, insegnante di musica nativo e residente tutt’oggi a Paularo. Il museo ha sede nell’antico palazzo conosciuto come Casa Scala e raccoglie strumenti provenienti da Francia, Italia, Austria e Germania, tra cui vi segnaliamo l’organo realizzato nel 1650 da Giovanni Battista Testa, considerato un vero e proprio prodigio della tecnica, visto che riesce a raggruppare ben 320 canne in uno spazio assai ristretto.
Per quanto riguarda gli eventi, vale la pena annotare un paio di date: la prima è il 5 gennaio, quando si celebra il rito celtico della Femenate, molto simile a quella del pignarûl, ma che si differenzia da quest’ultimo per il fatto che ad essere bruciato è un rombo di legno posto a circa 15 metri di altezza. La seconda corrisponde all’ultimo weekend di agosto, quando ha luogo la manifestazione Mistîrs, rassegna di antichi mestieri che attira migliaia di turisti. Due giorni in cui Paularo sembra tornare indietro di quasi un secolo, all’insegna del motto “cultura del lavoro, la storia di una Valle”. Due ottime occasioni per visitare quest’ennesima gemma della nostra regione, percorrendo quell’ora scarsa di macchina che la separa da Udine.
Photo by: flickr/Matteo Moro
Spilimberghese di origine montanara, sono nato a Udine nel freddo settembre del ’95 e ci sono tornato quasi vent’anni dopo per frequentare l’università, facoltà di Mediazione Culturale. Bassista per necessità, appassionato di sport e cultura per vocazione, ancora oggi faccio fatica a non meravigliarmi davanti alla bellezza del Tagliamento e delle nostre montagne. Da qui il mio naturale approdo a “Voli”.
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