Contrariamente a quanto si possa credere, la civiltà romana non trovò nel Friuli occidentale un territorio selvaggio e disabitato: al contrario, era una terra viva, popolata, crocevia di culture e commerci.

La romanizzazione dell’area pordenonese, sebbene difficile da collocare con precisione cronologica, risale almeno al II secolo a.C., ben prima della fondazione della colonia di Julia Concordia (42 o 40 a.C.). Le tracce materiali, come ceramiche e reperti metallici ritrovati a Ragogna, indicano un’intensa presenza romana già prima della fondazione di Aquileia (181 a.C.), centro nevralgico per l’intera X Regio augustea. Ne è testimonianza la spedizione guidata dai consoli Marco Minucio Rufo e da Publio Cornelio Asina, fino alla pedemontana delle Prealpi Carniche, avvenuta nel 221 a.C.. A causa dell’imminente scoppio della Seconda guerra punica, la loro permanenza non durò a lungo.

La centuriazione – quell’organizzazione geometrica del territorio attraverso il tracciamento dei limites – rappresentò un elemento chiave per lo sviluppo dell’agro romano. Tra Sacile e il Tagliamento si ipotizza l’esistenza di una centuriazione precoce, lungo la cosiddetta “via delle resorgive”. Questa direttrice, forse inizialmente un ramo della via Postumia, collegava i guadi del Tagliamento con il sistema viario più ampio che si irradiava da Aquileia.

Il Friuli romano era attraversato da una rete viaria densissima: via Annia, via Postumia, via Gemina, Julia Augusta, fino ai percorsi minori che univano la pianura alle Alpi. Concordia, al centro di questo reticolo, dialogava con i suoi vici, villae, compascua, costruendo un paesaggio umano e agricolo perfettamente integrato e funzionale.

Questa organizzazione territoriale – articolata ma coerente – ha lasciato impronte profonde, anche se oggi spesso invisibili. La centuriazione a nord di Pordenone, ad esempio, evidenzia come la romanizzazione abbia coinvolto anche le aree più marginali, dove lungo la fascia pedemontana si insediarono proprietà agricole lontane dai grandi centri, ma cruciali per l’economia locale.

Nel territorio pordenonese, i segni della romanizzazione si moltiplicano: sei fornaci per laterizi tra Cordenons, Vallenoncello, Chions e Pravisdomini; reperti imperiali tra il I e IV secolo d.C.; e soprattutto, le scoperte straordinarie di Torre. In quest’area, negli ultimi settant’anni, sono emersi mosaici, colonne, oggetti di vetro e una villa rustica di eccezionale pregio, decorata con affreschi che rappresentano una delle più importanti testimonianze della pittura romana nel nord Italia.

Tuttavia, vi è una frattura tra questa grande eredità romana e la struttura urbana medievale e moderna. Pordenone, come molti altri centri della zona, ha un’origine recente, successiva alle invasioni ungariche, e non si è sviluppata direttamente sugli insediamenti romani. Questo fenomeno si osserva anche a Oderzo, dove la città medievale si è formata accanto e non sopra quella romana, ignorandone l’impianto urbanistico originario.

Nel periodo longobardo e carolingio, l’antica rete insediativa non venne del tutto abbandonata: il monastero di Sesto, le curtes signorili, le pievi dedicate a santi aquileiesi dimostrano la persistenza di un legame, seppur trasformato, con l’età romana. La bolla di Urbano III (1184), che cita la Corte Torre, conferma come certi insediamenti abbiano mantenuto una loro continuità funzionale e simbolica.

Con la conquista romana, il latino si diffuse tra la popolazione, segnando l’inizio di un processo di latinizzazione che avrebbe avuto un impatto profondo sulla cultura e sulla lingua della regione. Un esempio particolarmente interessante della presenza del latino nella vita quotidiana è il ritrovamento di un mattone graffito con esercitazioni di scrittura, risalente al I-II secolo d.C., scoperto nel 1929 nei pressi di Cordenons che documenta l’uso del latino come lingua scritta, che veniva insegnato alle generazioni successive in modo regolare e strutturato.

Parallelamente il latino, pur rimanendo la lingua ufficiale, si diversificava sempre più a livello regionale. Mentre le metropoli come Aquileia diffondevano un modello linguistico prestigioso, nelle zone rurali emergono varianti influenzate dalle lingue pre-romane locali e dagli idiomi delle popolazioni immigrate. Questo fenomeno di regionalizzazione del latino e di fusione con altre lingue produsse quelle varianti che, nel corso dei secoli, si sarebbero trasformate nei dialetti neo-latini o romanzi.

Il cristianesimo, con la sua diffusione nelle campagne e nei centri più interni sul finire dell’età antica, contribuì ulteriormente alla circolazione di questi nuovi modi di parlare. Ogni diocesi e pieve irradiava una versione specifica di lingua, dando vita a varietà locali che sarebbero diventate le lingue regionali del futuro. A Pordenone, per esempio, si sviluppò una forma linguistica riconducibile al “concordiese”, un tipo di friulano occidentale che condivideva molte caratteristiche con le varietà parlate nei paesi vicini, tutti parte della stessa circoscrizione ecclesiastica.