Negli ultimi anni la vicenda delle origini dell’abbazia di Santa Maria di Sesto, di cui ancora oggi la fondazione è incerta, è stata interpretata, tenendo conto delle dinamiche di potere all’interno del regno longobardo, in particolar modo in relazione all’emergere, verso la metà dell’VIII secolo, di un potente blocco aristocratico, saldamente radicato nel territorio friulano, che riesce ad appropriarsi prima del ducato d’origine e poi del potere centrale contando sull’appoggio degli altri ducati vicini come la Tuscia e l’Emilia. L’aristocrazia friulana, o veneto-friulana, ottiene i mezzi sia politici, che finanziari per raggiungere il controllo della capitale prima con Ratchis e poi con Astolfo, potendo vantare relazioni sociali di prestigio, un controllo delle cariche pubbliche, ricchezze fondiarie personali e un controllo politico-territoriale, a titolo religioso, grazie alle fondazioni monastiche in zone strategiche, come Sesto e Salt in Friuli o Nonantola in Emilia.
Questo blocco di famiglie viene a formarsi dopo una catastrofica sconfitta, subita da parte dell’esercito friulano all’inizio dell’VIII secolo d.C. contro gli Slavi, in cui morirono il duca e l’intera nobiltà di Forum Iulii. Sulla scorta del racconto, fornitoci da Paolo Diacono, il nuovo duca, il bellunese Pemmo, si prese carico di tutti i figli dei nobili morti in battaglia e li allevò assieme ai suoi figli Ratchis e Astolfo, ponendo le basi del futuro comitatus dei re, provenienti dal Friuli, sui legami instaurati in gioventù tra i nobili friulani.
Nei decenni centrali dell’VIII secolo l’aristocrazia friulana si lega politicamente a una serie di ducati come Ceneda, Treviso, Vicenza, Verona, Brescia e Persiceta in Emilia. E dopo aver stabilizzato il controllo politico nell’Italia, a est di Pavia, cerca un ulteriore appoggio nelle regioni limitrofe, come Emilia e Tuscia.
L’affermazione politica della nobiltà friulana va di pari passo a un’espansione religiosa, in accordo con il potere regio partecipa al generale movimento di fioritura monastica, promuovendo la fondazione di nuovi istituti monastici nelle regioni in mano ai friulani, considerati non solamente come «capisaldi dell’organizzazione politica signorile», ma anche come snodi militari strategici per il controllo sia interno che esterno al regno a ridosso dei terreni bizantini e della Chiesa romana.
Sotto i re Ratchis e Astolfo il monachesimo è tenuto in alta considerazione tra gli esponenti della classe dirigente,tant’è che alcuni nobili fanno propria la vocazione monastica. I più celebri sono Paolo Diacono, ritiratosi a Montecassino, e Ratchis, ex duca e re, fattosi monaco probabilmente a seguito di una congiura di palazzo.
Sono molti i monasteri, che vengono fondati nella seconda metà dell’VIII secolo dall’ormai declinante dinastia longobarda e vengono associati all’aristocrazia veneto-friulana. Le fondazioni monastiche più note dell’epoca, oltre a quella di Sesto al Reghena, sono quelle di Nonantola in Emilia, di San Salvatore al Monte Amiata e di Santa Giulia di Brescia.
Letture consigliate:
Stefano Gasparri, Istituzioni e poteri nel territorio friulano in età longobarda e carolingia in Paolo Diacono e il Friuli altomedievale (secc. VI-X), (Atti del XIV Congresso internazionale di studi sull’Alto Medioevo di Cividale del Friuli, Cividale del Friuli-Bottenicco di Moimacco 24-29 settembre 1999) Spoleto, Centro italiano di studi sull’alto medioevo, 2001 pp. 105-128.
Stefano Gasparri, Il regno longobardo in Italia. Struttura e funzionamento di uno stato altomedievale, in Langobardia, a cura di Gasparri Stefani, Cammarosano Paolo, Udine Casamassima Libri, 2007, pp. 237-305.
Andrea Tilatti, Presenze monastiche in Friuli nell’età di san Paolino, in Il Friuli e l’Istria al tempo di san Paolino di Aquileia, a cura di Giuseppe Cuscito, Trieste, Editreg SRL, 2003 (Antichità altoadriatiche, LV), p. 191-208.
Pietro Zovatto, Il monachesimo benedettino del Friuli, Quarto d’Altino (VE), Pier Luigi Rebellato Editore, 1977.
A volte sono uno studente di Storia. Nel resto del tempo un viandante atipico, come Astolfo in sella al suo Ippogrifo, alla ricerca involontaria dei più svariati imprevisti. L’amore verso l’avventura salgariana è commisurato a quello verso la storia, velata come l’autunno di un ricordo passato da far riemergere e rivivere dal fondo di un archivio così come dall’oblio di una memoria recisa dalla sua radice