Una giornata particolare, film del 1977 diretto da Ettore Scola, riassume il significativo e drammatico incontro tra due persone: Antonietta, impersonata da Sophia Loren, una casalinga madre di sei figli sposata con un fervente fascista e Gabriele, interpretato da Marcello Mastroianni, un radiocronista colto e sensibile costretto al confino a causa della sua omosessualità.
Antonietta ha una vita triste, grigia; ha un marito che la maltratta, dei figli egoisti che la sfiancano, e una passione: ritagliare le fotografie del Duce, che incolla in un grande album, conservato gelosamente in un mobiletto. Vive una vita abitudinaria: si sveglia per prima, prepara il caffè per tutta la famiglia, cucina, pulisce la casa e, di notte, subisce le richieste pressanti del marito, che vorrebbe arrivasse il settimo figlio (e annesso assegno familiare).
Gabriele è un ex annunciatore dell’EIAR, l’Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche, da cui è stato allontanato a causa delle sue tendenze depravate. Non si sente un uomo come tutti gli altri, ha una voce profonda, dei modi distinti, sa occuparsi della propria casa ed è scapolo. Non ha una vita come quella di Antonietta, non è «un uomo, un marito e un padre», come vorrebbe il regime.
Antonietta e Gabriele si incontrano il 6 maggio 1938, data della visita di Hitler a Roma. La famiglia di Antonietta è in subbuglio, i bambini sono emozionati, le bambine si agghindano per recarsi all’adunata, mentre Antonietta è indaffarata a riordinare le stanze a soqquadro; lei non ha tempo di accompagnare la sua famiglia a questo importante evento. Tutti se ne vanno, lasciandola sola nella tranquillità della palazzina, nel vuoto della sua casa e nella ripetitività della sua esistenza: i piatti sporchi nel lavello, le briciole del pane scivolate per terra, la tovaglia da piegare. Nulla sembra presagire alcunché di nuovo, anche il suo pappagallino, come al solito, esige da lei lo stesso trattamento che dà alla sua famiglia: ha fame, chiede il mangime per uccelli e ripete, quasi meccanicamente, «Antonietta! Antonietta!».
Quando Antonietta apre la gabbia del pappagallino, accade qualcosa di nuovo. L’uccellino vola nella palazzina di fronte, appoggiandosi sul poggiolo della finestra di un uomo sconosciuto, ma che Antonietta in realtà aveva già notato: Gabriele. Prendendo coraggio, suona alla porta del vicino ignoto, che, disperato, stava pensando di togliersi la vita. Antonietta non lo sa che, con la sua visita, ha già quasi salvato un uomo, ma lo intuirà poco dopo.
Un personaggio bizzarro, dallo sguardo triste, ma dai modi galanti, le propone di bere un caffè, ma lei rifiuta, non è ammissibile che una donna si mostri così disponibile con un quasi sconosciuto. Gabriele non demorde, Antonietta lo fa sorridere col cuore, e decide di insegnarle alcuni passi della rumba, che ha disegnato sul pavimento del suo appartamento. Antonietta si chiede come mai quest’uomo voglia imparare a ballare, visto che le confessa di non averlo mai fatto, sembra proprio un tipo particolare.
Gabriele decide di donare ad Antonietta, che si sente una donna semplice, una di quelle donne che non ha mai scritto una lettera d’amore perché non troverebbe le parole giuste, uno dei suoi libri, I tre moschettieri. Nonostante la donna sia restia, è proprio questo libro a permettere ai due di continuare il loro incontro, questa volta a casa di Antonietta, che ha riportato il suo pappagallino nella gabbia.
Quel caffè che era stato rifiutato da Antonietta, viene domandato questa volta da Gabriele; Antonietta glielo prepara. Nel salotto, un posto per uomini, perché le cucine non lo sono – così afferma sicura Antonietta – Gabriele macina i chicchi di caffè, questo gesto lo compieva anche da bambino, quando il nonno, per premiarlo, gli concedeva questo piacere. Nello stesso momento, tutta trafelata, Antonietta è corsa in bagno per sistemarsi i capelli e fissare, sulla sua fronte, un ricciolo. Gabriele se ne accorge.
Tuttavia, non mancano gli ammonimenti della portinaia, una ficcanaso da Oscar con le fattezze da strega e un baffetto quasi hitleriano, che importuna Antonietta manifestando la sua opinione in merito al dirimpettaio: «un bisbetico, un cattivo soggetto, un antifascista»; la casalinga si insospettisce, si inalbera, ma non riesce ad allontanarsi da Gabriele.
Il fascino dell’uomo colpisce sempre di più Antonietta e, quando lui la accompagna a stendere i panni, mentre lei lo critica e lo taccia di essere un antifascista, Gabriele la sorprende facendole uno scherzo, sgradito, almeno a prima vista.
Antonietta: Mi sono scocciata dei vostri scherzi, chiamiamoli così. Io non lo so che cosa vi siete messo in testa, ma vi state sbagliando, questo è certo. E senza che facciate quella faccia, avete capito benissimo.
Gabriele: Antonietta, io non avevo, ti assicuro, alcuna intenzione.
Antonietta: No macché, mi avete abbracciata per combinazione. Voi uomini siete tutti uguali, ma io me l’aspettavo, da questa mattina.
Gabriele: Te l’aspettavi, da me?
Antonietta: Certo che nel vostro ambiente deve essere diverso, attrici, cantanti, annunciatrici. Apposta vi siete fatto mettere un telefono.
Mentre i due piegano un lenzuolo, e si avvicinano sempre di più, Antonietta sfiora le mani di Gabriele sussurrandogli di andarsene, di lasciarla, arriva addirittura a pregarlo. Lo stringe forte e lo bacia con passione, perché è da quella mattina che lo pensa, ed è la prima volta che le succede. Gabriele è immobile, paralizzato, e lei si scosta dal suo viso pietrificato.
Gabriele: C’è una frase nel tuo album, un uomo deve essere marito, padre, soldato, io non sono né marito, né padre, né soldato.
Antonietta: Che vuol dire?
Gabriele: Non mi hanno mandato via dalla radio per la mia voce, disfattista, inutile e con tendenze depravate. Così hanno detto.
Antonietta, sconvolta, lo schiaffeggia, e scappa, mentre Gabriele la rincorre e le chiede che cosa si aspettasse: baci, mozzichi, palpate, mani sotto la gonna, la mette al muro; e le ripete:
Tanto tutti gli uomini sono uguali, è vero? Bisogna farglielo sentire perché è questo il muscolo più importante, è vero? Mi dispiace per te, ma ti sei sbagliata, io non sono quel maschione virile che ti aspettavi, sono un frocio, frocio! Così ci chiamano.
Nonostante la delusione, Antonietta torna da Gabriele, e si scusa per il suo comportamento. Lui la fa entrare in casa e lei, delicatamente, si prende cura di lui, non solo del suo corpo, ma della sua anima. Si confidano a vicenda: «E la cosa più grave, è che cerchi di sembrare diverso da quello che sei, ti obbligano a vergognarti di te stesso, a nasconderti», confessa Gabriele, mentre Antonietta si mostra delusa dalla sua vita sentimentale, dalle umiliazioni del marito che può prendersi gioco di lei, perché «A una ignorante le puoi fare qualunque cosa, non c’è rispetto».
I due sono sempre più vicini e Antonietta ritorna da Gabriele, nuovamente, questa volta senza temere un rifiuto: gli dà dei piccoli baci sul viso e sugli occhi, dimostrandogli con amore qualcosa di fondamentale: l’accettazione. I due si uniscono insieme e fanno l’amore, due anime sole, disperate, con un vuoto profondo dentro, si riempiono a vicenda e consumano il loro rapporto senza pentirsene.
Antonietta si sente bene, non provava quella sensazione da tanto tempo, quella stessa notte si negherà al marito, dicendogli: «Questa sera no.», mentre Gabriele dice che «Essere come sono io non significa non poter fare l’amore con una donna. È diverso. È stato bello, ma non cambia niente». Tuttavia, è felice di avere condiviso quella giornata con Antonietta, che lo ha fatto sorridere, che ha reso la sua vita meno mediocre.
Durante la notte, Gabriele viene condotto al confino, in Sardegna: Antonietta lo scruta dalla finestra, mentre viene condotto via dalle guardie, interrompendo la lettura del libro da lui regalatole. Guarda la finestra da cui lo contemplava, essa appare scura. Antonietta segue Gabriele nell’androne delle scale, l’allontanamento di lui dipinge nel primo piano della donna una profonda tristezza, Gabriele se ne è andato, la sua vita continuerà triste, grigia e vuota, come sempre.
Insegnante, blogger e comunicatrice.
Sono laureata magistrale in Filologia e letteratura italiana a Ca’ Foscari. Pascoliana e innamorata dell’infanzia, spero sempre che bastino un alito di vento, e un soffione tra le dita, per esprimere un desiderio. Profondamente convinta che i colpi di penna siano come colpi di spada, non dimentico mai di portare con me un taccuino e una penna.