Siamo nel 1814, da poco l’Impero austro – ungarico ha riottenuto da quello francese le Province Illiriche, di cui anche Monfalcone faceva parte. Su una piccola barca stiamo rientrando nel porticciolo di Panzano dopo una battuta di pesca rivelatasi abbastanza fortunata: qualche branzino e due orate belle grosse.

A poche decine di metri dalla riva, davanti ai nostri occhi, si succede il solito panorama di piccoli porti e alture, ma oggi c’è una novità: dalla nostra piccola barca osserviamo il passaggio di 200 anni di storia.

Negli anni in cui inizia questo racconto, si cominciano a mettere nero su bianco i primi progetti per la costruzione di un nuovo porto, che avrebbe dovuto sostituire quello di Trieste e permettere quindi uno sviluppo più funzionale e, chissà, la nascita di industrie collegate più facilmente con l’entroterra. Grazie alla grande disponibilità di manodopera e ai capitali qui investiti, il paesaggio, dunque, comincia a cambiare: si bonificano terreni, si riassestano gli argini dei canali De Dottori, il Valentisin e il porto – canale Rosega, si costruisce la ferrovia che collega Vienna, Trieste e Venezia e che passa anche per Monfalcone.

Davanti a noi, dunque, l’Ottocento appare come un secolo di vivacità imprenditoriale, infatti dalla nostra barca riusciamo a scorgere nuove industrie chimiche e manifatturiere: diventa sempre più chiaro infatti che la zona di Monfalcone, pianeggiante, è più adatta allo sviluppo industriale di quella carsica di Trieste.

Lo scattare del Novecento registra una nuova impennata per la capacità produttiva del porto: siamo già nel 1907 e l’Impero austriaco ha da poco emanato una legge che stanzia dei fondi per il potenziamento della sua marina, favorendo sia le compagnie di navigazione che la produzione navale.

Per questo motivo a Monfalcone arrivano i fratelli Callisto e Alberto Cosulich, originari di Lussino e già attivi a Trieste, con l’intenzione di installare un cantiere navale da destinare alla costruzione di piroscafi. Nel primo decennio del nuovo secolo, dunque, il porto è molto attivo e viene ulteriormente rafforzato dalla costruzione di alcune centraline per la produzione di energia idroelettrica.

Maggio 1915: la linea del fronte non è lontana dalle acque in cui stiamo navigando, Monfalcone è teatro di sanguinose battaglie di cui risente anche il porto; la città diventa italiana soltanto alla fine del conflitto.

Dalla nostra posizione assistiamo alla ricostruzione qui iniziata a partire dai cantieri navali, che negli anni Trenta diventano esponenti di punta europei nella costruzione di navi e sommergibili. Dal nostro punto di osservazione possiamo osservare la nascita di grandi motonavi, ma anche della più piccola Calitea, progettata per la linea del Levante e del Dodecanneso, arredata in modo elegante e contemporaneo, perfetta per passeggeri di classe.

Lo scoppio della seconda guerra mondiale rallenta ma non blocca l’attività del porto: pur da lontano, infatti, notiamo un manipolo di lavoratori della Compagnia Portuale di Monfalcone che continua a lavorare nello scalo di Trieste.

Nel secondo dopoguerra, nonostante la scarsità di mezzi (non ci sono nemmeno i magazzini) e alla presenza sempre più rilevante di Porto Marghera dall’altra parte dell’Adriatico, il porto di Monfalcone comincia a meccanizzarsi e a rendersi sempre più autonomo da quello di Trieste. Le grandi navi che sfiorano la nostra barca tra gli anni Cinquanta e Sessanta portano carichi di sale per la produzione di soda della ditta Solvay e legname portoghese per la produzione di fibre di cellulosa per la Snia Viscosa e per le manifatture locali.

Gli ultimi vent’anni vedono l’ulteriore espansione del porto e la definitiva meccanizzazione delle operazioni portuali. Oggi il lavoro si basa su merci indirizzate alle industrie del Nordest o in transito verso l’Europa centrale e orientale. Le tipologie di merce che possiamo scorgere sulle grandi imbarcazioni che ci passano accanto sono soprattutto prodotti energetici e siderurgici.

Siamo arrivati dunque alla fine del nostro viaggio nel tempo: possiamo finalmente portare la nostra barca in porto e cucinare il pesce pescato.

Per approfondire questa storia consigliamo di leggere questo studio dello storico Gaetano Dato sul lavoro e i traffici del porto di Monfalcone negli ultimi vent’anni, da cui sono state ricavate le principali informazioni che avete appena letto.

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