Dagli eventi della Grande Guerra è passato quasi un secolo: coloro che avevano vissuto l’esperienza del conflitto, militari e civili, sono scomparsi da decenni e ciò che ancora oggi può darci un’idea degli eventi sono le testimonianze raccolte negli archivi delle città direttamente coinvolte, uniche fonti di memoria. Per quello che riguarda Pordenone, la storia non si distanzia molto da quella del resto del Friuli: la Destra Tagliamento soffrì pesantemente in quel periodo, sia per quanto riguarda le perdite di vite umane, di figli e nipoti, durante il periodo tra il 1915 e il 1917, sia per l’occupazione delle truppe austro-ungariche successive alla disfatta di Caporetto dell’ottobre 1917 e a ciò che essa comportava.

Per fare una sintesi di quegli eventi è bene partire da una premessa che precede la data dell’ingresso in guerra dell’Italia a fianco dell’Intesa: come buona parte degli italiani, anche i pordenonesi, o comunque la stragrande maggioranza, era assolutamente contraria alla guerra. Nel caso di Pordenone tre erano i motivi: innanzitutto molti erano i lavoratori stagionali che si recavano nelle “Germanie” a lavorare; non si capiva perché così ad un tratto si dovesse prendere il fucile e sparare ai datori di lavoro. Secondo: sin già dal 1914 molti imprenditori italiani in Austria erano stati cacciati e stavano rientrando in un numero sempre maggiore, senza possibilità di ricollocarsi e generando disoccupazione. Terzo: i cotonifici, cuore pulsante dell’economia cittadina, non stavano più ricevendo la materia prima dal porto di Trieste, dovendo quindi richiederla alla lontana Genova che non si interessava più di tanto.

Il 24 maggio 1915, sulla bacheca di uno dei più famosi caffè storici della città, il Caffè Nuovo, sito in pieno centro cittadino in Piazza Cavour, viene affisso il primo bollettino di guerra: è l’inizio del conflitto. Nel 1916 arrivano nell’aeroporto della Comina, primo campo d’aviazione in Italia ad avere una scuola di volo, i primi aerei da battaglia, i Caproni, assoluti protagonisti italiani delle battaglie aeree sui cieli del Nord-Est: lo stesso famoso poeta-soldato Gabriele D’Annunzio soggiornerà a Pordenone nell’attesa di compiere un eroico volo su Lubiana, a cui in seguito non prenderà parte; l’ impresa, svoltasi comunque, fallì tragicamente con la morte di un suo amico, Paolo Salomone.

Il ’16 è anche l’anno in cui si comincia a mostrare una certa insofferenza, con l’occupazione della stazione di Sacile da parte degli Alpini. Ma è anche un anno di inventiva: Antonio Zanussi aveva fondato una piccola industria, di quattro operai, che produceva cucine economiche. Costui, negli anni del secondo dopoguerra, renderà questa piccola attività, che prenderà il suo nome, l’anima economica e sociale alla base delle fortune di Pordenone negli anni ’50-’60.

Arrivò poi Caporetto, con tutte le sue conseguenze: l’occupazione austriaca comportò saccheggi, stupri (da cui si calcola nacquero 353 bambini, “figli del nemico”) e violenze fino al momento in cui a Pordenone si creò un comando di tappa, che sì disciplinò i soldati ma non li fermò comunque dal compiere altri atti criminali. I pordenonesi fecero la fame, non essendo possibile nemmeno attuare i rifornimenti cittadini se non tramite permessi speciali.

Nell’ottobre 1918 finalmente rientrarono in città i soldati italiani. I soldati austriaci in fuga minarono tutti i ponti, compreso quello di Adamo ed Eva sul fiume Noncello che, nonostante il tentativo d’intervento del sindaco Fortunato Silvestri, venne distrutto. Con il ritorno dell’Italia si cominciarono a fare i calcoli di quanto perduto per poter ottenere i successivi risarcimenti. Risarcimenti però non totali, dato che si restituì solo il 60% del valore effettivo di ciò che si era perso.

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